Detective stories, le puntate non finiscono mai: tocca a Petros Markaris
Intervista Debutta la serie tv tratta dai libri dello scrittore greco, «Kostas», in prima serata su Rai 1, interpretato da Stefano Fresi, prodotta da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, per la regia di Milena Cocozza
Intervista Debutta la serie tv tratta dai libri dello scrittore greco, «Kostas», in prima serata su Rai 1, interpretato da Stefano Fresi, prodotta da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, per la regia di Milena Cocozza
Le detective stories in tv non sempre funzionano ma il tentativo di trasporre su schermo avventure investigative nate su carta, o ebook, insomma scritte, e molto amate, ricorre. In il successo più noto degli ultimi vent’anni è quello del Commissario Montalbano, in onda in Rai dal 1999 per la regia di Alberto Sironi e poi, dalla sua prematura scomparsa, di Luca Zingaretti; Andrea Camilleri, ben noto autore dei libri e coinvolto nella sceneggiatura della serie tv, nella sua densa carriera a lungo incentrata proprio nella scrittura televisiva e radiofonica, aveva già avuto a che fare con la drammaturgia del crimine e col passaggio dei suoi protagonisti dai romanzi su schermo; allo scrittore infatti si deve, quale delegato di produzione, la realizzazione delle Inchieste del commissario Maigret, in 35 episodi in onda dal 1964 al 1972 su Rai1 che allora si identificava col Programma Nazionale, tratta dai romanzi e dai racconti di Georges Simenon: il regista scelto da Camilleri fu Mario Landi, il protagonista indimenticato Gino Cervi.
Camilleri ha portato il commissario francese anche in radio, nel 1972, come regista con le Le canzoni di casa Maigret, tredici puntate dal romanzo Le memorie di Maigret sempre di Simenon.
Altro caso di successo di giallo/nero , italico, in tv, la serie diretta da Michele Soavi Rocco Schiavone: le investigazioni aostane interpretate da Marco Giallini nei panni del personaggio creato da Antonio Manzini, come Camilleri autore Sellerio, in onda dal 2016 su Rai2 e ancora su RaiPlay.
Zingaretti e Giallini hanno connotato in modo irreversibili gli eroi dei rispettivi polizieschi, tanto che è difficile ora leggere senza sovrapporre all’immagine mentale di Montalbano e Schiavone i connotati degli attori (e dire che su carta Salvo avrebbe baffi folti): anche questo capita spesso quando i personaggi dei gialli diventano cast: eclatante il caso di Sherlock Holmes che è stato dotato dei suoi elementi visivi identificativi (copricapo deerstalker e pipa ricurva) dalle trasposizioni teatrali poi riprese dal cinema.
Guardando ai classici oltre confine nazionale quello immaginato da Doyle è il detective letterario più longevo e rappresentato (il solo William Gillette, uno dei suoi interpreti più famosi, lo ha portato in scena 1300 volte) e come Orlando di Virginia Woolf ha attraversato il tempo valicando il nuovo millennio, cambiando media (radio, cinema muto, cinema sonoro, cinema di animazione – con Miyazaki – serie televisive) e in qualche modo genere sessuale, affiancato e assorbito, nelle trame più recenti, da alter ego femminile spacciate per sorelle (Enola Holmes) o discendenti (la produzione la francese Madeimoselle Holmes, disponibile su Giallo).
I Britannici sono e sono stati grandi dispensatori di crime stories attraverso la parola letteraria divenuta immagine su schermo: seguendo l’ordine cronologico il primo, sulla carta, è l’investigatore in abito talare Padre Brown di G. K. Chesterton, che ha fato il suo esordio letterario nel 1911 e su piccolo schermo, italiano, nel 1970 con una mini serie di sei puntate che ha fatto storia, con protagonista Renato Rascel affiancato da Arnoldo Foà nei panni di Flambeau (ladro gentiluomo persuaso dal sacerdote a passare dalla parte dei detective).
Ancora in corso l’undicesima stagione della versione moderna della serie, Father Brown, una produzione inglese con spin off con suora investigatrice, trasmessa in Italia su Paramount e LA7.
In Inghilterra però ad avere successo sono soprattutto le Regine e davanti a loro non ci sono preti che tengano: a dominare tv e cinema oltremanica è Agatha Christie, che ha pubblicato il suo primo mistery, Poirot a Styles Court, nel 1920 sfidata dalla sorella a produrre qualcosa di pubblicabile. Un po’ come accaduto a Mary Shelley con Frankenstein: un esercizio di scrittura nato per gioco e competizione che ha segnato la nascita di una leggenda.
Nel caso di Agatha da quell’esordio sono scaturiti altri sessantasei romanzi polizieschi (l’ultimo nel 1976 Addio Miss Marple) e quattordici raccolte di racconti, la prima trasposizione cinematografica è stata nel 1928 (The Passing of Mr. Quin), il primo film tv solo dieci anni dopo (Love from a Stranger); l’ultima versione su grande schermo è dello scorso anno ( Haunting in Venice – Assassinio a Venezia di Kenneth Branagh), l’ultima serie tv, britannica, del 2020 (A pale horse – Un cavallo per la strega).
Nella lunghissima sequela di libri e film si rubano la scena dl 1930 due protagonisti, Poirot il primogenito e Miss Marple arrivata appunto dieci anni dopo la prima detective novel col belga dalla testa a uovo e i baffi sontuosi. Su chi sia il migliore tra i due non ha dubbi Petros Markaris «Vince Miss Marple».
Lo scrittore greco è molto noto dentro e fuori i confini ellenici per la serie di polizieschi incentrati sulla figura di Kostas Charitos in Italia pubblicata prima da Bompiani, dal 2016 dalla Nave di Teseo.
Il nuovo capitolo delle indagini, La violenza di vinti è del 2024, anno che vede anche il debutto, il 12 settembre, della serie tv tratta dai libri, Kostas; in prima serata su Rai 1, interpretato da Stefano Fresi, prodotta da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, per la regia di Milena Cocozza.
Incontriamo Petros Markaris a fine agosto, all’ Adriatico Mediterraneo Festival di Ancona. Una sua dichiarazione ci ha molto incuriosito, secondo cui tra Poirot e Miss Marple «vince senz’altro Miss Marple»
Perché preferisci Miss Marple?
Poirot è elegante ha scarpe di pelle raffinate, è speciale e ammesso anche in virtù di questo a risolvere casi intricati. Miss Marple non ha niente di rilevante, è una donna in abiti ordinari che parla troppo. Si chiede l’uomo qualunque: «come fa questa a risolvere un mistero?» Per questo mi piace. Nella vita reale chi indaga e viene a capo di un crimine non ha proprio niente di speciale nel look e nel suo contegno, ha piuttosto una mente che lavora nella direzione giusta, speciali conoscenze, e basta, è quel che serve.
Anche Charitos è così. Lo definiscono fino alla noia il Montalbano greco, ma Salvo almeno ha successo con le donne. Nei tuoi polizieschi e nella vita di Kostas non c’è nulla di glamour, si respira un’aria domestica
E’ così, sono contento che questo arrivi. Uno dei miei obiettivi era di creare un personaggio comune, che somigliasse al rappresentante medio di una classe sociale medio bassa, che è la maggioranza a cui appartengono anche i poliziotti, gente che ha famiglia normale, vive un quotidiano di situazioni normali.
E Kostas lo è, marito e padre normale, anche nei confronti delle figure femminili fuori dalla famiglia, come Antigone che hai introdotto nel penultimo romanzo («La rivolta delle Cariatidi») come sua sostituta a capo della squadra omicidi. Tra lei e Charistos non c’è tensione erotica, e non è sola una spalla. Come è fondamentale Adriana, sua moglie, figura che sembra esserti cara.
Si, Antigone è piaciuta, poliziotte greche mi hanno ringraziato per averla introdotta, così possono almeno immaginare di essere lavorativamente in una posizione di vertice. Adriana invece è mia madre, una donna di origini umili, che si trova tutti i giorni a dover sbarcare il lunario e dare da mangiare alla famiglia. Adriana prepara peperoni e pomodori ripieni come tante altre greche: una signora mi ha fermato tempo fa dicendomi che in questo le ricorda tanto sua madre, che appunto è come la mia. Mi interessa la gente vera con problemi veri. Sono diventato amico dei capo della polizia di Atene, vado a parlarci a volte per chiedere informazioni e dettagli utili per i miei libri; un giorno ero nel suo ufficio ed è entrato un giovane che lui mi ha orgogliosamente presentato come suo figlio e mi ha voluto dire che sta studiando Medicina, è una cosa che mi ha colpito molto. Anche il capo della polizia viene da una famiglia normale, conosce le difficoltà di sopravvivenza familiare, guarda all’opportunità e all’importanza di studiare qualcosa che ti dia tranquillità economica.
La crisi economica ti sta a cuore come tutti i temi di attualità: dalla prima avventura («Le Ultime della notte») di Charìtos a questa sua ultima pubblicata nel 2024 hai toccato tutti i punti dolenti del presente: ruolo dei media e della pubblicità, crisi finanziaria, ultranazionalismo, pandemia e povertà di ritorno, gestione del turismo, condizione femminile, bullismo. Sembri quasi più un cronista che un romanziere.
Non sono il tipo di scrittore che vede un problema nella società e aspetta che la questione si risolva, che sia più chiara per raccontarla. Io mi metto a scrivere quando il problema è in corso, cercando di capire quali sono le cause, quali saranno gli sviluppi e quali effetti produrranno sulla gente e la società, lavoro così. E ci tengo a non spiegare tutto, voglio che il lettore si faccia una sua idea, si ponga domande e costruisca una storia parallela basata sulla sua esperienza e percezione.
Così racconti in tempo reale la Grecia di oggi che per molti, che magari sanno tutto della sua antichità o delle isole in agosto, rimane sconosciuta. Forse la anche serie tv aiuterà a farsi un’idea della società greca contemporanea. Sei stato coinvolto nella sceneggiatura di «Kostas»?
No. Sono stato a lungo sceneggiatore e so come funziona. Ora scrivo romanzi e c’è una grande differenza. Chi scrive per il cinema scrive con gli occhi, un romanziere con la mente. Sarebbe più difficile ora cambiare approccio.
C’è già stata una serie tv tratta dai tuoi primi libri, una produzione greca.
Sì, e si è interrotta. Una delle ragioni per cui non ho voluto continuare è che se fai una serie di diciotto, venti puntate succede sempre che gli spettatori si perdano qualcosa e non ti stiano più dietro.
Come sta la Grecia oggi?
Da un lato succede come in tutta Europa, vedi la Spagna o persino la Germania, aumento del costo della vita, difficoltà a tirare avanti, un problema serio di salari specie per i più giovani. Poi c’è un altro aspetto più legato alla mentalità dei greci che credono di poter diventare ricchi coi soldi fatti d’estate, mi riferisco al turismo: chi fa le vacanze in Grecia trova prezzi pazzeschi, non capiamo che questo modo facile e veloce di arricchirsi non funziona, che se ne pagheranno le conseguenze dopo pochi mesi. Su tutto c’è il declino della Sinistra che non è al governo e ha un problema di leadership. Ci sono sempre meno giornali di sinistra, tipo il manifesto, a parlare, e i redattori di quelli che hanno chiuso non sono ancora stati pagati.
Ti stanno a cuore le minoranze, tu stesso sei parte di una di esse, per parte di padre sei di origini armene ma fai riferimento a questo solo in un libro, «La Balia». Non hai mai pensato mai di scriverne più diffusamente?
Si sono cresciuto in una minoranza greca in Turchia, e ho origini armene ma di fatto non ho mai avuto contatti con l’Armenia: mio nonno veniva da una famiglia armena molto ricca; in casa sua lavorava una donna dell’isola greca di Andros, si prendeva cura dei bambini e cucinava. Un giorno questa donna chiese al mio bisnonno di poter portare da Andros sua nipote per farla stare un po’ a Istanbul, era una cosa molto comune al tempo. La Grecia era molto povera, Istanbul, ancora beneficiava dei capitali dell’impero ottomano. Mio bisnonno acconsentì, c’era spazio in casa; la ragazza arrivò, pare fosse bellissima, ma non lo so se è vero, non ci sono ritratti, fatto sta che mio nonno se ne innamorò a prima vista. Andò da mio nonno e gli disse «mi sono innamorato e voglio sposarla». La risposta di mio nonno fu «scordatelo» e quando lui tornò alla carica sfidandolo gli disse «Bene, fallo e il giorno dopo ti diseredo». E così fu. Mio nonno se ne andò con la sua giovane moglie, aveva fatto ottimi studi in scuole americane, trovò un buon lavoro. Smise di parlare armeno, aveva un amico come unico contatto ma emigrò. I miei nonni mandarono i loro figli a studiare in scuole greche, la mia famiglia divenne greca a tutti gli effetti. In effetti è una bella storia, uno dei miei editori una volta mi ha detto che dovrei scriverla.
Quel mare su cui sei nato, tra Turchia e Grecia, cui il Festival è dedicato, già luogo di rotte commerciali e avventure è molto cambiato.
Sì, pensa a Efeso che è stata anche capitale di provincia romana …trasportavano cultura, ricchezza, avventure: il Mediterraneo ora trasporta la disperazione dei migranti.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento