Dal 16 settembre 2022, in Iran è cominciata la rivolta popolare che continua fino ad oggi, anche se con minore intensità. È evidente l’avversità generale della popolazione contro il regime clericale che, pur diminuendo, non si è esaurita malgrado le 500 vittime e oltre 20.000 arresti.
Sono passati 44 anni dalla nascita della repubblica islamica. In questi anni il regime ha tentato di stabilire una civiltà integralmente islamica come prescrive la visione del leader della Repubblica Islamica, Khamenei.

LE RIGIDE REGOLE politiche, economiche e sociali della “rivoluzione culturale” concepita dal fondatore della repubblica, Khomeini, avrebbero dovuto «purificare» il sistema educativo del paese e istruire una nuova generazione di buoni musulmani. Sono stati espulsi centinaia di migliaia di studenti e docenti ribelli dalle università del Paese. È stata facilitata l’ammissione di docenti e studenti pro-regime introducendo un sistema di quote. Il 70 per cento dei posti nelle università statali è andato agli studenti provenienti dalla “Società dei devoti della rivoluzione islamica” o alle varie organizzazioni di Basij, forza paramilitare dipendente dai Guardiani della rivoluzione. È stata applicata la segregazione di genere e imposta la polizia morale di controllo. È stata effettuata la “purificazione” dei libri di testo con contenuti non islamici o di filosofia materialistica. Gli studi coranici sono entrati a far parte del curriculum scolastico e universitario in tutte le facoltà. Khamenei ha attivamente favorito la creazione di una direzione islamica collocando i suoi seguaci radicali come rappresentanti universitari, demolendo l’autonomia delle università.

Tuttavia, i recenti eventi mostrano che malgrado l’enorme sforzo compiuto per controllare e trasformare 660 università e centinaia di migliaia di scuole in tutto paese, la nuova generazione di iraniane e iraniani resiste a questa trasformazione. Infatti i giovani studenti nelle scuole e nelle università sono stati i primi protagonisti a dare l’impulso all’incendio delle proteste che hanno attraversato tutto il Paese.

L’AUMENTO della repressione sociale e politica ha causato una massiccia emigrazione di studenti e professori. L’Iran ha uno dei più alti tassi di fuga di cervelli al mondo: perde ogni anno una moltitudine di persone istruite e qualificate che si traseriscono in altri paesi. Secondo l’Iran Migration Observatory il 25% dei membri della Iran’s National Elites Foundation, il 37% dei detentori di medaglie alle Olimpiadi studentesche e il 15% dei migliori studenti hanno lasciato il Paese. La partenza degli iraniani istruiti ha gravi costi economici. Nel 2019, una stima della Banca mondiale ha fissato il costo a 50 miliardi di dollari l’anno. Questa cifra è molto più elevata del valore delle esportazioni di petrolio dell’Iran nello stesso anno, che ammontavano a meno di 20 miliardi di dollari.

IL FALLIMENTO del regime diventa ancora più evidente analizzando i cambiamenti nella religiosità iraniana, con un aumento della secolarizzazione e una diversità di fedi e credenze. Il sondaggio eseguito dalla fondazione Gamaan, Gruppo per l’analisi e la misurazione degli atteggiamenti in Iran, evidenzia che il 47% degli iraniani ha perso fiducia nella propria religione e il 6% è passato da un orientamento religioso a un altro. I più giovani hanno riportato livelli più elevati di irreligiosità e conversione rispetto agli intervistati più anziani.

I valori di onestà e giustizia sociale, pietre miliari del pensiero clericale sciita, sono sprofondati nei frequenti scandali di corruzione che hanno visto coinvolte figure importanti del regime. Un esempio eclatante può essere il caso della compagnia statale di Mobarakeh Steel denunciata per una corruzione che ha prosciugato 3 miliardi di dollari.

Neanche i dati sulle famiglie iraniane sono confortanti. La repubblica islamica considera di enorme importanza il ruolo della famiglia per il mantenimento dei valori e per la salvaguardia degli ideali della rivoluzione. Tuttavia i dati mostrano che il tasso di divorzio è vertiginosamente in crescita. Per ogni 3 matrimoni registrati nel 2019 è stato registrato un divorzio, la maggior parte fra coppie sposate da 1 a 5 anni. I dati potrebbero essere ancora più drammatici se le donne avessero la libertà di divorziare senza il consenso dell’uomo.

DOPO 44 ANNI il fallimento della Repubblica Islamica nel trasformare la società iraniana sulle basi morali propagandate dal regime è evidente. L’enorme sfiducia tra la popolazione e lo stato mostra un inesauribile lento declino che il regime tenta arginare attraverso la repressione. Fino a quando?