Dopo la dichiarazione dello stato di eccezione (con relativa sospensione delle garanzie costituzionali e arresto di tremila persone), l’adozione di pene fino a 10 anni per minori dodicenni e l’incrudimento delle condizioni carcerarie, l’autocrate presidente millennial di El Salvador, Nayib Bukele, ha disposto condanne fino a 15 anni per quei media che in qualche modo informino dell’agire delle pandillas (bande giovanili) che operano nel paese e che lo scorso sabato 26 marzo si erano rese responsabili di ben 62 omicidi superando ogni limite dall’epoca della guerra civile.

DA TEMPO ORMAI, con la maggioranza assoluta del parlamento del suo partito Nuevas Ideas e dopo essersi appropriato di fatto della gestione del potere giudiziario, Bukele aveva preso ad attaccare inesorabilmente con i suoi tweet anche la libertà di stampa. Prendendo di mira in particolare El Faro, il primo quotidiano esclusivamente digitale dell’America Latina, sorto nel 1998 per iniziativa di un gruppo di giovani giornalisti/e del tutto indipendenti strutturati sostanzialmente come una ong; e che campano (a fatica) grazie agli abbonamenti e a donazioni internazionali di entità che difendono l’autonomia dei piccoli media di comunicazione.

Ebbene El Faro aveva già dato notizia su come i precedenti governi, sia di destra che legati alla ex guerriglia, avessero tentato negoziazioni e tregue con i capi delle due bande principali: la Mara Salvatrucha 13 e la Barrios 18.
Con l’avvento del mandato di Bukele, nel 2019, si era registrato un progressivo calo importante degli assassinii, dal record di 103 morti ammazzati ogni centomila abitanti registrato nel 2015 (fra i più alti al mondo).

MA EL FARO SCOPRÌ BEN PRESTO con fior di dettagliata documentazione ufficiale che quel risultato non era il frutto di un assai improbabile fulmineo miglioramento delle condizioni di vita delle disperate giovani generazioni salvadoregne, bensì di un fitto andirivieni fra le zone sotto il controllo delle maras e le carceri dove sono detenuti i loro massimi capi. Naturalmente con le autorità di governo a trattare con essi attenuazioni delle azioni repressive nonché delle condizioni di detenzione: compresi sconti di pena, e la non estradizione nel caso di solleciti dagli Usa. Fino ad arrivare a voti di scambio in vista delle parlamentari e municipali del febbraio 2021.

L’analisi del Faro di queste settimane è che qualcosa sia saltato negli equilibri di queste “conversazioni” e che le pandillas abbiano reagito con l’impennata degli omicidi; peraltro di persone scelte a caso nei territori da loro gestiti. El Faro è da tempo oggetto d’intimidazioni da parte di questo governo, con pubblici attacchi, intercettazioni, incursioni sulle sue linee online e l’allontanamento del suo editore messicano Daniel Lizarraga, espulso dal Salvador lo scorso anno.

Per questo, giovedì scorso ha deciso di sospendere per un giorno le news sul proprio sito, postando unicamente il decreto parlamentare di modifica del codice penale che dispone la prigione per chi «informi» sulle maras. «La vita democratica è già stata smantellata e ora, con questa legge bavaglio, il regime vuole occultare la verità sui suoi rapporti con i gruppi criminali, oltre che sulla sua corruzione» recita il comunicato di protesta della testata giornalistica. Che aggiunge: «Rutti noi salvadoregni paghiamo le conseguenze della negligenza, dell’improvvisazione e delle menzogne di questo governo, oltre alla sua ossessione per gli show mediatici».

DAL CANTO SUO BUKELE pare paradossalmente tenere nei consensi, mentre cerca di arginare la pessima immagine di un paese violento che farebbe scappare gli investitori in bitcoin. Una sciagurata scorciatoia che rischia di portare al fallimento El Salvador. Invece di intraprendere finalmente la strada di una riforma fiscale che porti per la prima volta la più feroce oligarchia del subcontinente a pagare qualche imposta; in un percorso di riduzione delle abissali disuguaglianze di questo paese. Ma da un impresario, rampante come Bukele, che altro ci si sarebbe potuti aspettare…