Il pacchetto clima della Ue Fit for 55, che prevedeva in una prima versione un abbassamento delle emissioni a effetto serra (Ges) nella Ue del 55% entro il 2030 (rispetto al 1990) accelera e si intensifica: ieri il Parlamento europeo ha approvato dei punti-chiave, che obbligheranno l’industria europea a ridurre del 62% le emissioni di Co2 entro il 2030 (rispetto al 2005), con una riforma delle “quote” Ets (scambio di quote di emissione di gas a effetto serra), imposte nel 2005 e che prevedevano allora una diminuzione del 40%.

Oltre all’industria, il pacchetto clima si estende al settore marittimo, grande fonte di Ges, e all’aviazione (solo per i voli intra-Ue). Nel pacchetto entrano adesso anche le famiglie: nel gergo sono gli Ets2, che riguardano le emissioni di Ges del riscaldamento e dei trasporti. Qui si passa su un terreno minato: tutti ricordano i gilet gialli e la protesta iniziata per un aumento di 3 centesimi del litro di benzina. Per far fronte all’enorme spesa che si apre in un futuro quasi imminente per le famiglie già impoverite dall’inflazione, la Ue ha previsto un Fondo sociale per il clima, dotato oggi di 86,7 miliardi, che verranno dagli Ets2 e serviranno per dare aiuti alle micro-imprese e alle famiglie più in difficoltà per poter entrare nella transizione climatica. Al Parlamento europeo il gruppo Left ha sottolineato che la cifra è troppo bassa per tutti i 27 e che, di conseguenza, le sovvenzioni non potranno compensare tutte le spese. Questo pacchetto, già frutto di un negoziato durato due anni e concluso nel 2022, per entrare in vigore dovrà avere l’avallo del Consiglio, cioè degli stati membri. Lo scontro continuerà in quella sede, i governi della destra estrema – ben presenti nella Ue – promettono battaglia.

In ogni caso, il compromesso prevede un tetto massimo di 45 euro la tonnellata di Co2 fino al 2030, che limiterà gli aumenti dei prezzi (dovrebbe iniziare a entrare in vigore dal 2027 o dal 2028 se i prezzi dell’energia continueranno a crescere). È una costruzione fragile, che rischia di essere mandata all’aria in caso di impennate dei prezzi mondiali, per un’Europa sempre dipendente sul fronte energetico, anche se è stato varato il progetto di arrivare nel 2030 al 42,5% di energie rinnovabili nel mix Ue.

Un altro punto-chiave passato ieri al Parlamento è la Carbon Tax alle frontiere: il progetto è far contribuire gli importatori, se i prodotti che entrano nella Ue non rispettano le norme europee. Gli importatori di prodotti più inquinanti (cemento, acciaio, alluminio, elettricità, fertilizzanti) dovranno acquisire dei certificati Co2, mentre le quote gratuite, che esistono oggi, poco per volta spariranno. Il programma sarà sperimentato da quest’anno, ma solo per le segnalazioni da parte degli importatori, poi dovrebbe entrare in applicazione progressivamente dal 2026 al 2034.
Il Parlamento ha anche discusso della questione-chiave dell’indipendenza europea rispetto all’eccessiva dipendenza dalla Cina (batterie, terre rare) e della reazione verso il programma Usa Inflaction Reduction Act, che è nei fatti una reazione protezionista che rischia di attirare sul suolo statunitense parte della produzione europea.