Mali e Burkina Faso sembrano sempre più in difficoltà nella lotta ai gruppi jihadisti. Le locali filiali di al-Qaeda e di Daesh, in guerra tra loro oltre che con i governi di questi paesi, sono oggi “alle porte” delle rispettive capitali. Occupano città e regioni intere, tenendole fuori dal controllo delle istituzioni, fanno il bello e il cattivo tempo sui territori ancora non sotto il loro controllo, mietono decine di vittime ogni giorno.

Lo scorso fine settimana in Mali, terminato il mese di Ramadan, i morti sono stati talmente tanti da “bucare” la propaganda della giunta militare e finire su tutti i media locali: tre attacchi suicidi coordinati nell’area dell’aeroporto internazionale di Sevaré, città di 40mila abitanti nella regione di Mopti, hanno provocato 60 morti tra i civili e causato il crollo di alcune palazzine, una mattanza talmente spettacolare che persino la giunta militare ha dovuto commentarla con una nota ufficiale del Capo di Stato maggiore dell’esercito.

LA SITUAZIONE NEL SAHEL è sempre più critica, a più livelli: solo in Burkina Faso ci sono oltre 2 milioni di sfollati che vanno assistiti, curati, protetti. E, nonostante la propaganda della giunta militare racconti ogni giorno di grandi battaglie, terroristi «neutralizzati», territori riconquistati e aiuti umanitari consegnati ai bisognosi, ci sono alcuni decreti legge del presidente golpista Traoré che raccontano una realtà ben diversa: l’istituzione dei Volontari per la Difesa della Patria, con il lancio a febbraio di una campagna per arruolare 60mila civili, e il decreto per la mo bilitazione generale della settimana scorsa, che consentirà al governo la coscrizione obbligatoria di tutti i cittadini maschi «fisicamente idonei», dai 18 anni in su. Coscrizione coatta che era già una realtà, tanto che diverse organizzazioni dei diritti umani hanno denunciato l’arresto e l’arruolamento forzato di diversi critici della giunta militare al potere a Ouagadougou.

IN MALI NON VA molto diversamente: se leggiamo i giornali locali la propaganda delle Forze armate maliane (Fama) racconta di grandi vittorie, decine di «terroristi schiacciati» dall’esercito e dai suoi ausiliari del gruppo russo Wagner.

La realtà sul campo tuttavia, è un po’ diversa: il 19 aprile il capo di gabinetto del presidente della transizione del Mali, Oumar Traoré, detto Douglas, è stato trovato morto nell’area di Nara, 400km a nord della capitale Bamako, con altri tre militari, proprio accanto ai veicoli ufficiali della delegazione presidenziale. Ucciso da colpi di arma da fuoco in un’area in cui sono attivi sia gli uomini del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim, legato ad al-Qaeda) che quelli di Katiba Macina (il Fronte di Liberazione del Massina, alleato di Ansar Dine, lo Stato Islamico). I due gruppi combattono due conflitti: uno tra di loro e uno con lo Stato del Mali. La morte di Traoré è stata rivendicata domenica dal Jnim.

DIVERSA È LA QUESTIONE del Niger di Mohamed Bazoum, che ha scelto di provare ad arginare l’avanzata jihadista nel Sahel nigerino – e i flussi dei migranti verso nord – stringendo partnership militari e con Francia, Germania e Italia durante i suoi tour europei.

Una realtà che preoccupa tutti, nell’area è quella del Benin, lo scorso fine settimana, ha annunciato l’arruolamento straordinario di 5.000 uomini da inviare nel nord del Paese, al confine con il Burkina Faso, dove sono sempre più frequenti le incursioni dei gruppi islamisti. I quali stanno allargando i propri possedimenti verso i paesi costieri del Golfo di Guinea.

SULLA STESSA LINEA beninese infatti ci sono anche il Togo, che ha imposto lo stato d’emergenza nelle regioni confinanti con il Burkina e annunciato una campagna di arruolamento, il Ghana, dove gli attacchi islamisti al nord sono sempre più frequenti, e la Costa d’Avorio. Tutti paesi costieri confinanti a nord con i territori sotto il controllo, ormai quasi assoluto, di Daesh o al-Qaeda.

Il problema del conflitto nel Sahel è che è non si può raccontare se non attraverso la propaganda delle giunte militari. Il Consiglio superiore per la comunicazione del Burkina Faso ha denunciato l’impossibilità per i cronisti di lavorare in modo imparziale e sicuro in tutto il Sahel, anche per ragioni economiche: la stampa locale non ha i mezzi per permettersi corrispondenti di guerra e deve accontentarsi dei mattinali dello Stato maggiore dell’esercito.

ALTRE FONTI DI INFORMAZIONI sono le pagine Telegram legate a Wagner, che in Mali fa da ausiliare delle Forze Armate, o i pezzi scritti dai desk dei media francesi, anch’essi intrisi di propaganda, dopo la cacciata dei francesi dall’area.
In una regione il cui territorio è in buona parte sotto il controllo dei gruppi armati questo è un vero problema, anche perché le giunte militari di Mali e Burkina Faso hanno espulso i corrispondenti di France24, Rfi, Le Monde e Libération.

Secondo Reporter Senza Frontiere il Sahel è oggi «la più grande zona non informativa dell’Africa» e, al contempo, è anche la più grande area di conflitto al mondo.