Storia di un push back
Bosnia Bloccato in Italia mentre tenta di raggiungere il nord Europa, Alì si trova da mesi in un campo profughi della Bosnia in condizioni di salute gravissime
Bosnia Bloccato in Italia mentre tenta di raggiungere il nord Europa, Alì si trova da mesi in un campo profughi della Bosnia in condizioni di salute gravissime
I respingimenti illegali ai confini d’Europa e la violazione del principio di non-refoulement sono ormai noti e documentati da fonti autorevoli. L’ultimo rapporto di Amnesty ammette che i governi europei non solo operano sistematiche espulsioni di migliaia di richiedenti asilo ma ignorano i terribili abusi della polizia croata. 5.500 persone, tra cui uomini donne e bambini, sono intrappolate i condizioni disumane nelle due piccole città di Velika Kladusa e di Bihac al confine con la Croazia. La maggior parte tenta di proseguire verso l’Europa attraverso foreste, fiumi in piena, montagne di neve e di gelo e i campi minati. Poco tempo fa, in un bosco, una donna incinta si è trovata davanti ad un orso e a causa dello schock ha partorito il figlioletto morto.
Nei primi 10 mesi del 2018, almeno 12 persone, per lo più ragazzi, sono annegate nel tentativo di attraversare il confine tra Croazia e Slovenia. Una delle tecniche di scoraggiamento usata dalla polizia croata, consiste nel respingere i migranti catturati spogliandoli dagli indumenti, gettandoli nelle acque gelate e facendoli camminare a piedi nudi per chilometri, solitamente di notte in aree remote, lontano dai valichi di frontiera ufficiali. Alì è stato catturato nei boschi della Croazia. Era il mese di febbraio 2019. Respinto senza scarpe nella neve e gelo, si perde nella notte e vaga confusamente per molto tempo. Oggi rappresenta l’emblema della disumanità e della violenza dei confini, dei muri, del filo spinato, dei droni, dei cacciatori d’uomini.
La sua storia inizia a Trieste dove era riuscito ad arrivare a piedi percorrendo 350 chilometri. Fermato in treno senza biglietto, la polizia italiana lo consegna a quella slovena. La Slovenia lo respinge in Croazia che a sua volta lo rimanda all’inferno. Se non esiste l’inferno, esiste la crudeltà. Gli tolgono le scarpe, i vestiti caldi, gli rompono il cellulare, gli bruciano lo zaino, lo percuotono e lo spingono nella neve di quelle montagne abitate da orsi e lupi. Le sue dita si congelano. Quando arriva al camp Bira di Bihac ormai sono nere. È sabato 9 febbraio. Partito per un viaggio della speranza rifiuta le cure, forse vuole morire. Forse il dolore di non rivedere più il figlio lasciato in Germania dove era stato per sei anni, è intollerabile; forse non vuole davvero morire, ma i suoi piedi devono essere amputati e lui i sente ridotto a un sub uomo. Si aggrappa difensivamente all’unica scelta che lo protegge dalla sofferenza: negare la realtà e consegnarsi alla morte.
Ora, per lui parla una coperta della Mezzaluna turca che lo avvolge come in un utero. Ecco cos’è un trauma! È questa coperta rossa che lo succhia dall’interno ma lascia scoperte le dita dei piedi, così nere che sembrano dipinte. Il mondo deve vederle, deve sapere cosa è un respingimento, sembrano dire. Alì ha abitato il mondo con i suoi desideri, ma ora è preda di un ingorgo traumatico che la sua psiche non può sopportare. Alì aveva una vita, una storia, degli affetti ma, se si salverà, non avrà più piedi per andare loro incontro. Per ora si ritrova in un container ad ascoltare i rumori della morte a cui si è consegnato.
È l’immagine carnale di un anima dannata che non sa impazzire. La sua vita è sigillata dentro i confini del container A3 del Bira camp. Lo circonda un odore nauseabondo che toglie il respiro. Il suo pensiero gli fa allucinare la Germania, i prati verdi e il cielo azzurro in cui correre con i piedi sani verso il suo sogno. Senza questa allucinazione, gli resta il tunnel della fine. Nel rifiuto delle cure c’è tutto questo: allucinare il desiderio per non morire, lasciarsi morire per evitare la realtà. La burocrazia bosniaca è un’assurda iperbole kafkiana. La pratica per nominare un tutore che decida di curare Alì, è ferma al ministero della salute dove è sufficiente il parere contrario di solo uno dei rappresentanti dei dieci Cantoni, per bloccare l’intera procedura. Per ora, di Alì, resta l’odore della morte in agguato. Questo è il volto del trauma di un ragazzo catturato nei boschi della Croazia ed ora sepolto dentro un container di lamiera dimenticato da ogni dio.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento