Visioni

Storia di un paese che non potrà mai più essere lo stesso

Storia di un paese che non potrà mai più essere lo stessoUna scena da «Stepne» di Maryna Vroda

Locarno In concorso «Stepne» di Maryna Vroda

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 agosto 2023

Quando approda un film ucraino in un festival, soprattutto se in concorso, le antenne si alzano cercando di captare qualcosa rispetto alla situazione di guerra. Inevitabile che succedesse anche per Stepne (Steppe) di Maryna Vroda. E in effetti nel film vengono raccontati molteplici intrecci tra ucraini e russi, ma non direttamente in relazione alla terribile attualità. Eccoci infatti a seguire Anatoliy, un uomo di mezza età, poi scopriremo che ha studiato, innamorato da sempre di una compaesana. Sbarca con un paio di borse da un misero pulmino per avventurarsi a piedi lungo una strada fangosa. E raggiunge la sua vecchia casa e l’anziana madre, ormai smarrita e prossima alla morte. Lui la accudisce con grande affetto, una sequenza in cui la aiuta a fare il bagno scava nel profondo. Quando mamma muore arriva anche il cinico fratello, ma più che altro i compaesani, sino a quel momento semplici comprimari, che diventano irresistibili protagonisti del funerale e della veglia funebre.

Il ritratto che Vroda propone è assolutamente pregnante, racconta una realtà che per decenni ha visto un’unità politica e sociale, mai troppo sottolineata, sino alla dissoluzione dell’Urss, ai nuovi ricchi che approfittano della vita senza futuro di questi poveracci.

AVVOLTI, quasi barricati nei loro miseri abiti, quel gruppo di anziani quasi novantenni beve vodka e mangia attorno al tavolo da dove partono i ricordi. Quelli affamati di guerra, mondiale, con i tedeschi a far paura, la povertà insostenibile, l’entrata nella sfera sovietica, i matrimoni misti ucraini-russi, l’ex soldato dell’armata rossa che ha combattuto un po’ ovunque sino all’essere rimasto praticamente dimenticato nel Donbass, sono racconti di un’autenticità che sfiora il documentario, come era intenzione della regista. Situazione che viene riproposta quando tutte le modeste proprietà della donna vengono messe a disposizione degli altri perché possano prendere quelle che potrebbe ancora servire: un mastello, un paio di vecchi stivali, oggetti quotidiani strappati dalla casa dove non c’è più vita. Il ritratto che Vroda propone è assolutamente pregnante, racconta una realtà che per decenni ha visto un’unità politica e sociale, mai troppo sottolineata, solo accenni visivi a baffone, sino alla dissoluzione dell’Urss, ai nuovi ricchi che approfittano della vita senza futuro di questi poveracci. La commistione tra attori veri e autentica popolazione di una località indefinita tra le steppe permette di dare spessore e profondità a tutte le sfumature di una storia rigorosa al limite della prepotenza emotiva. Con una lapide incisa a mano che suggella la fine: del film, di un’era e forse anche di un paese che non potrà mai più essere lo stesso.

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