Stefano Caserini insegna Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Dalle pagine del blog Climalteranti dal 2008 si occupa di divulgazione sul climate change.

I giovani in piazza in Italia per il Global Climate Strike dicono che chi chiede il loro voto non ascolta la loro voce: è davvero così?
L’analisi dei programmi diffusa dall’Italian Climate Network mostra grandi differenze: c’è chi ha considerato in modo serio la questione climatica (sopra il 7 ci sono Verdi europei e Sinistra italiana, Pd, Unione popolare e M5S, ndr). Sui mezzi d’informazione però il dibattito è stato compresso sul tema, impellente, del caro energia. Del resto, i media hanno dato grande spazio a Calenda, invece di ospitare i partiti più marcatamente ambientalisti. Anche il Pd si è speso, a cominciare dalla scelta del bus elettrico. La maggior parte dei partiti però ha preso voti scarsi e non sorprende che i leader si siano occupati di altro, ma non bisogna generalizzare. Gente come Renzi non si è mai interessata al clima.

Possibile che non si comprenda l’importanza della questione?
La politica ha interessi di potere a breve termine e non credo abbia a cuore la questione del cambiamento climatico. Si lotta per i voti, per prenderli dove i sondaggi dicono che ci sono. Se Berlusconi afferma di voler piantare un milione di alberi è perché sa che le persone vogliono sentirlo dire, se desiderassero centrali a carbone avrebbe promesso quelle.

Siccità eccezionale, caldo record ed eventi estremi come l’alluvione nelle Marche: perché non fanno breccia sulla campagna elettorale?
Gli effetti del cambiamento climatico incidono meno su chi ha un reddito alto e gli esseri umani hanno una capacità di rimuovere la realtà molto efficace. La situazione cambia quando molte persone sono colpite in prima persona, com’è successo in Australia: gli incendi hanno spostato l’attenzione dell’opinione pubblica tanto che le elezioni di inizio 2022 sono state definite «climate election» e il negazionista pro carbone Abbott ha perso. Ma non è detto che noi impareremo dalla catastrofe del cambiamento climatico, perché avanza a rallentatore: che importa che il Po sia senz’acqua finché non incide sul mio quotidiano.

Dodici mesi fa il governo italiano ha ospitato la preCop26 a Milano. Come giudicA l’impegno sui temi della transizione ecologica?
Abbiamo accumulato un ritardo su tante questioni, penso ai decreti sulle comunità energetiche o alla spinta sulle rinnovabili. Cingolani ha continuato per mesi a dire che non ci sono problemi, perché il gas arriva. Il mio giudizio è molto negativo sulla capacità del ministro di cogliere una questione epocale: ha scelto di non affrontare la necessità di cambiamenti radicali. Dobbiamo uscire velocemente dalle fonti fossili, ma queste non sono state parole chiave.

A proposito di fonti fossili, ha senso immaginare di ridurre i consumi di gas sfruttando al massimo le centrali a carbone, come fa il Piano del MiTE?
Ha senso usarle per non stare al freddo, se l’alternativa è avere problemi di elettricità e calore. Grazie al meccanismo dell’Emission Trading Scheme (Ets) sfruttare il carbone non significa in automatico maggiori emissioni di CO2 a livello europeo, perché saranno compensate. Il problema è chi, come Calenda, mette in discussione il sistema dell’Ets, dicendo che bisogna sospenderlo: a quel punto tutte le emissioni sarebbero aggiuntive. È per me l’affermazione più grave della campagna elettorale, quella di un sedicente europeista che vorrebbe annichilire il caposaldo della politica europea sul clima.

Un altro tema elettorale sono i rigassificatori. Ha senso realizzarli se dobbiamo abbandonare i combustibili fossili?
Siamo i emergenza ma prima di investire servirebbero studi accurati per stabilire quanti impianti eventualmente realizzare, per quanto tempo usarli e con quali obiettivi. Una volta che si investe in infrastrutture fossili, il rischio è che poi si continui ad usarle: non possiamo pensare ai rigassificatori per togliere spazio alle rinnovabili.