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Ad Avellino l’aria è molto malata

Foto comitato Salviamo la Valle del SabatoFoto comitato Salviamo la Valle del Sabato – Foto comitato Salviamo la Valle del Sabato

Clima La periferia nord-est della città compana è un concentrato di fabbriche che da anni inquinano la valle chiusa intorno al fiume Sabato. E le persone si ammalano

Pubblicato un giorno faEdizione del 26 settembre 2024

Il nucleo industriale di Pianodardine, nella periferia nord-est di Avellino, è un’area di quasi quattro chilometri di cui due e mezzo sono occupati da fabbriche. Ci lavorano 5.800 persone. Vi si produce di tutto: dalle automobili ai pannelli in legno, dai lamierati alle tubazioni; dal comparto elettrico ed elettronico a quello dei rifiuti. Pianodardine è uno dei centri da cui si dipana la contaminazione che interessa la valle che si allarga intorno al suo fiume, il Sabato. Una valle chiusa, una conca in cui l’inquinamento ristagna. E ammala la popolazione.

I VELENI VENGONO DALLE FABBRICHE PRESENTI, ma sono anche eredità di quelle passate. Derivano dal traffico, così come dalle combustioni agricole. Diverse matrici concorrono a un unico risultato: la popolazione è esposta a composti cancerogeni e ha un elevato rischio di ammalarsi. Sono esposte, secondo Franco Mazza, medico del lavoro e Presidente di Isde-Medici per l’Ambiente Avellino, tra le 60 e le 80mila persone.

LO SCORSO 3 LUGLIO E’ STATO PRESENTATO LO STUDIO dell’Università di Salerno Impatto ambientale e rischio oncologico nell’Area Industriale di Pianodardine (Av). L’indagine è l’epilogo di una vicenda che ha traumatizzato la comunità. Il 3 luglio 2016 morì per un sarcoma Barbato Mazzariello, giovane di 36 anni noto in città. Fu l’ennesimo caso di una sequenza di lutti legati a neoplasie. Lo studio dell’UniSa deriva da una donazione della sua famiglia. La storia di Mazzariello è stata il detonatore di un’insofferenza covata da tempo: diversi lavori avevano mostrato che qualcosa non andava. Prima c’erano le evidenze empiriche: l’alto numero di malati, anomalo per un territorio così piccolo e una popolazione così ristretta. «In quei giorni – racconta Mazza, zio di Mazzariello – è nata l’associazione Salviamo la Valle del Sabato, di cui sono presidente».

CI FURONO MANIFESTAZIONI, SIT-IN, convegni, interventi pubblici: la città era stanca di essere ostaggio delle fabbriche. «Vivevamo nei miasmi. Gli stessi operai non riuscivano a lavorare. Lo Stir (Stabilimento di tritovagliatura e imballaggio dei rifiuti) era pieno di ecoballe». E poi c’erano gli incendi: frequenti e spaventosi, che per giorni rilasciavano fumo e miasmi. Ancora oggi ci sono quelli legati all’agricoltura, che rilasciano diossine e d’estate ammorbano l’area.

NON SI PUO’ RACCONTARE LA STORIA di questo territorio senza tener conto di due vicende ormai chiuse, i cui strascichi ancora pesano sulla comunità. Le attività della Novolegno sono state connesse a emissioni di formaldeide, altamente pericolosa per la salute. La convivenza con l’azienda era sempre stata difficile: «La coltre di fumo era tanto densa che la mattina non si vedeva il sole», ricorda Mazza. Nel 2019 la chiusura lasciò per strada 117 lavoratori. La seconda vicenda è quella dell’Isochimica, lo stabilimento che tra il 1982 e il 1989 rimuoveva l’amianto dai vagoni di Ferrovie dello Stato. Gli operai lavoravano a mani nude, senza dispositivi di protezione. Raccontarono di aver seppellito gli scarti nelle aree circostanti. Morirono in 33. La bonifica non è ancora completa.

NEL 2005 L’ARPAC HA ANALIZZATO I SUOLI E IL FIUME. C’erano metalli pesanti, Pcb, ammoniaca, fosforo e altri inquinanti pericolosi per la salute. Nel 2007 ferro e manganese, già oltre i limiti, erano triplicati. Nel 2014 le acque intorno allo Stir rivelarono un inquinamento da manganese, batteri coliformi ed enterococchi, da boro e azoto ammoniacale.

IL 7 GIUGNO 2018 IL FIUME SABATO SI E’ TINTO DI ROSA, nessuno sa perché. Nel 2011 il Cnr ha analizzato i legami tra produzioni specifiche ed emissioni di specifici inquinanti, studiando le attività di Novolegno, produttore di pannelli in truciolato, di Fma, che realizza motori per automobili, di Cumerio, che lavora il rame, di Denso, che produce impianti di climatizzazione per le auto e di Cobiem (Conglomerati Bituminosi Emulsionanti). Sono state studiate anche le emissioni inquinanti prodotte dall’autostrada A16, che conduce ad Avellino passando dall’area industriale.

CI SI ACCONTENTO’ DELLE FONTI DISPONIBILI: autocertificazioni sulle emissioni prodotte dai gestori degli impianti (riferite a singoli anni) e relazioni tecniche che, sempre questi ultimi, avevano elaborato per le autorizzazioni ambientali. Nello specifico, lo studio è stato condotto sulla base delle informazioni sulle proprie attività che Novolegno e Fma stesse hanno fornito. La relazione tecnica di Cobiem risaliva al 1999, dodici anni prima. Da Cumerio non ci fu alcun documento. Nonostante la scarsità di dati e la loro provenienza, per Mazza emerse una conclusione ancora valida: «L’area non è adatta a ospitare industrie». La geomorfologia del territorio e gli influssi del meteo concorrono ad aggravare gli impatti dell’inquinamento. «Qui sono tutti in regola – spiega il medico – non c’è un’industria che produca fuorilegge. Però nessuno tiene conto dell’effetto sommatoria di tante normalità: c’è inquinamento, ci ammaliamo, le persone muoiono».

AVELLINO E’ TRA LE PRIME 150 CITTA’ INQUINATE su 1000 del Global Ranking di Lancet. Ogni anno ci sono 48 morti evitabili per lo smog: più che a Berlino, Parigi, Londra, Roma. La città è stata a lungo tra le prime per l’aria inquinata del report di Legambiente Mal’Aria. I nuovi dati dicono che la situazione è migliorata ma, secondo Mazza, si tratta di un’illusione. «Lo Stir nel 2023 ha prodotto 68 sforamenti giornalieri. Nel 2024 in città sono stati 10, ma allo Stir sono già 25». A cosa è dovuta la differenza? «C’entra il meteo, ma non possiamo escludere una rimodulazione delle centraline posizionate in città».

LA SITUAZIONE, IN OGNI CASO, NON E’ QUELLA drammatica di otto anni fa: ridotti i miasmi, smaltite le ecoballe, il fiume è in una condizione migliore. «Con un intervento nazionale – commenta Mazza – possiamo sperare di arrivare alla normalità tra vent’anni». Intanto, è nato un protocollo tra Procura di Avellino e Istituto Superiore di Sanità per analizzare la relazione tra ambiente e contesto sanitario.

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