Economia

Stati Uniti, l’inflazione vola al 9,1% Colpiti i redditi bassi e i non tutelati

Stati Uniti, l’inflazione vola al 9,1% Colpiti i redditi bassi e i non tutelati – Getty Images

Il caso Benzina, affitto e cibo aumentano. E le banche centrali affrontano un dilemma

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 luglio 2022

A giugno i prezzi negli Stati Uniti sono aumentati del 9,1% rispetto a un anno fa. È l’aumento dell’inflazione più alto e veloce dal 1981 ed è causato dall’impennata dei prezzi del gas, ma anche dall’aumento degli affitti e delle spese alimentari che hanno reso più costosa la vita quotidiana delle famiglie americane.

Il costo dei pasti in casa è salito del 12,2%, mentre quello fuori casa è aumentato del 7,7%. L’indice dell’inflazione, che include cibo e gas, potrebbe rallentare nei dati di luglio perché i prezzi alla pompa sono calatinelle ultime settimane.

Il costo medio nazionale di un gallone di benzina senza piombo ha raggiunto un picco di circa 5 dollari il mese scorso. Questa settimana era di circa 4,65 dollari. Ma i prezzi del gas sono volatili e potrebbero salire ancora. In ogni caso l’indice dell’inflazione di base, quello che esclude i prezzi dei generi alimentari e del carburanti soggetti alle variazioni più ricorrenti, risulta essere per ora più elevato rispetto a quello che aveva previsto il dibattito economico. L’indice di base è salito del 5,9% fino a giugno, rallentando appena rispetto al 6% del rapporto precedente. L’elemento «core» dell’inflazione è aumentata dello 0,7% da maggio a giugno, più dell’aumento mensile precedente.

Questa situazione, va ricordato, è l’esito di un processo multifattoriale che compone oggi la «policrisi» del capitale. L’economia globale è stata infatti colpita negli ultimi due anni e mezzo da una serie di shock che non sono cessati dall’inizio della pandemia di coronavirus come invece hanno sperato inutilmente le classi dominanti. Le chiusure delle fabbriche e le carenze nelle spedizioni hanno messo a soqquadro le catene di approvvigionamento, la carenza di lavoratori sta rendendo più difficile per le compagnie aeree volare o per gli hotel affittare le camere. L’invasione della Russia in Ucraina ha interrotto le forniture di petrolio e gas.

Le vittime sono le persone con redditi bassi, senza tutele né patrimoni. Pur in presenza di un mercato del lavoro molto dinamico negli Usa, a tal punto che si è creato un movimento chiamato impropriamente di «grande dimissione», gli aumenti stanno colpendo direttamente i beni di prima necessità. La benzina? In forte aumento. L’affitto? In aumento. I generi alimentari? Anche. La Federal reserve (Fed), la banca centrale degli Stati Uniti, ha chiaramente detto che questa situazione sta mettendo in ginocchio i cittadini più poveri. E qui nasce il problema politico, ed economico, che rischia di creare una crisi sociali ancora più grave mentre si cerca di riportare l’inflazione sotto controllo in maniera molto determinata.

La Fed, già impegnata in un aggressivo ciclo di rialzi dei tassi di interesse, potrebbe decidere un aumento di 100 punti base alla prossima riunione in calendario alla fine di luglio. Questa decisione potrebbe produrre effetti repressivi sui salari. Se l’inflazione crescente spinge a chiedere di aumentarli, come sta avvenendo anche in Europa e in Italia, le aziende potrebbero cercare di scaricare l’aumento del costo del lavoro (sempre che ci sia) sui clienti attraverso l’aumento dei prezzi. A quel punto i consumi potrebbero fermarsi di nuovo, prolungare l’inflazione, rendendo disperato il tentativo delle banche centrali di riportarla sotto il 2%.

In questo dilemma si sta consumando la nuova crisi globale.

I banchieri centrali, a cominciare da Jerome H. Powell, presidente della Fed, hanno ammesso di avere già sbagliato una volta sul significato dell’inflazione attuale. Ora c’è il rischio che sbaglino ancora, ricorrendo alle tradizionali tecniche usate in questi casi. «Ora capiamo meglio quanto poco capiamo dell’inflazione» ha detto Powell in un forum a Sintra in Portogallo. In realtà, l’inflazione è sempre politica. E oggi iniziamo a osservare le conseguenze.

In Europa, l’inflazione segue ritmi simili (è all’8,6%) e risponde a logiche diverse. Anche qui però la Banca Centrale Europea (Bce) prevede di aumentare i tassi per la prima volta in più di un decennio la prossima settimana, di un quarto di punto.

Ma con la caduta dell’euro alla parità con il dollaro, il livello più debole in due decenni, ci saranno maggiori pressioni sulla Bce per accelerare gli aumenti dei tassi, soprattutto perché i timori di una recessione potrebbero limitare la capacità della banca di aumentare i tassi in futuro. Ciò non toglie che questa decisione potrebbe avere effetti analoghi a quelli negli Stati Uniti.

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