Da un lato ci sono il Covid in Cina, la guerra in Ucraina e le sanzioni contro la Russia che bloccano le catene di approvvigionamento e alimentano l’inflazione; dall’altro lato, per fermare l’inflazione, si aumentano i tassi di interesse, si frena l’attività produttiva e la domanda interna con la conseguenza di rallentare l’occupazione comunque precaria e i redditi da lavoro. Dunque, nel mezzo della crisi che stiamo attraversando, non solo il rimbalzo del Pil dopo il Covid sta diminuendo a vista d’occhio, ma i salari già impoveriti rischiano di perdere ancora più potere di acquisto sia perché sono mangiati dall’inflazione, sia perché aumenta il precariato e la povertà.

Il dilemma si chiama «stagflazione» (bassa crescita e alta inflazione). L’anno prossimo potrebbe diventare «recessione». Molto dipende anche dalla situazione in cui saranno gli Stati Uniti.

La Banca Centrale Europea (Bce) resta divisa tra falchi e colombe: i primi premono per una politica monetaria restrittiva per controllare i prezzi; i secondi temono le conseguenze sugli spread, cioè la differenza di rendimento tra i titoli di stato, ad esempio i Btp italiani e i Bund tedeschi. Ieri dal forum delle banche centrali di Sintra in Portogallo la presidente della Bce Christine Lagarde ha confermato l’impostazione che rischia di portare anche l’Europa verso una spirale recessiva: politica monetaria restrittiva (il «Pepp» è stato chiuso a marzo, dal primo luglio sarà chiuso il programma di acquisti «App»); aumento dei tassi d’interessi di 25 punti base durante la riunione del 21 luglio a luglio e forse in settembre (tra 0,25% e 0,50% a seconda dei dati di giugno, luglio e agosto). Per evitare che la «normalizzazione» della politica monetaria in maniera «determinata, sostenuta e graduale» produca risposte «disordinate» la Bce ha confermato di volere creare uno «scudo anti-spread». Dovrebbe servire per rimediare agli effetti che la politica restrittiva produrrà sulle economie europee che si trovano in situazioni differenti. In questo caso, da un lato, si blocca l’economia per riportare in tempi non ancora definiti l’inflazione al 2% (in Europa si viaggia verso l’8%); dall’altro lato, si pensa a uno strumento che attutisca le conseguenze di questa soluzione dal punto di vista monetario. Si continua cioè a ragionare come se l’inflazione attuale fosse il prodotto dei salari, come negli anni Settanta del XX secolo. Sono ormai in molti a credere invece che essa sia il prodotto dei profitti accumulati dalle imprese e favoriti dalla politica monetaria fatta in questi anni dalle banche centrali. In mezzo resta chi lavora, e non lavora, già provato da due anni e mezzo di pandemia in cui la povertà, bollette e consumi sono cresciuti anche a causa della speculazione sulle materie prime energetiche e alimentari.

L’economia globale è fondata sulla previsione incombente di una serie di shock a ripetizione. «Data la sua dipendenza energetica, l’Eurozona sta subendo questi shock in modo acuto» con un forte rialzo dell’inflazione, ha detto Lagarde. «Non si vede ancora una fine del conflitto tra Russia e Ucraina e c’è ancora il rischio di un taglio delle forniture che potrebbe fare restare alti i prezzi dell’energia». Siamo in un’emergenza (gli shock, appunto), ma si continua ad operare con gli strumenti ordinari per di più diminuendo in maniera significativa quelli eccezionali adottati nelle crisi precedenti (2007-8 e 2020). La Bce assicura di essere pronta a tutto. Potrebbe accompagnare, gradualmente, l’economia verso la recessione