Starmer, la regressione del Labour
Gran Bretagna Non è facile spiegare perché Keir Starmer, a qualche settimana dalle elezioni politiche, e avendo una ragionevole probabilità di vincerle, si sia messo nei guai escludendo Faiza Shaheen dalla candidatura per un collegio a nord est di Londra
Gran Bretagna Non è facile spiegare perché Keir Starmer, a qualche settimana dalle elezioni politiche, e avendo una ragionevole probabilità di vincerle, si sia messo nei guai escludendo Faiza Shaheen dalla candidatura per un collegio a nord est di Londra
Non è facile spiegare perché Keir Starmer, a qualche settimana dalle elezioni politiche, e avendo una ragionevole probabilità di vincerle, si sia messo nei guai escludendo Faiza Shaheen dalla candidatura per un collegio a nord est di Londra. Soprattutto tenendo conto del fatto che il suo problema adesso è convincere gli elettori di sinistra e non più assicurarsi una maggioranza in parlamento.
La scelta di escludere Shaheen è difficile da spiegare perché si tratta di una candidata ideale per un partito progressista che voglia proporre
un’immagine convincente in una società multiculturale come quella britannica. Shaheen nasce in una famiglia working class: padre proveniente da Fiji (meccanico) e madre di origini pakistane (tecnica di laboratorio). Cresciuta nel collegio dove era già stata candidata con successo nelle precedenti elezioni, la giovane parlamentare si è distinta per l’impegno al servizio degli abitanti (questo in un sistema maggioritario conta molto) e ha credenziali accademiche di prestigio (studi di economia all’università di Manchester e Ppe a Oxford). La sua tesi di dottorato era su temi legati alla diseguaglianza, di cui è un’esperta. Di recente è anche diventata madre, ma questo non le ha impedito di continuare a lavorare come membro del parlamento. Si accingeva infatti a lanciare la campagna per una nuova candidatura, che appariva scontata, fino a quando non le è stato comunicato, senza troppe cerimonie, che la sua presenza sulla scheda avrebbe costituito un problema per il partito.
Perché? Secondo la stampa britannica, la sua colpa sarebbe di aver messo in passato dei “like” a tweet di parlamentari dei verdi, e (questa sembra l’accusa più “grave”) giorni fa a quello di un filosofo francese che rilanciava uno sketch di Jon Stewart che ironizzava sull’aggressività delle polemiche che investono chi critica la politica del governo israeliano a Gaza. Vale la pena di sottolineare che Shaheen aveva espresso una chiara condanna dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, e che non è in alcun modo sospettabile di simpatie per il terrorismo.
Persino ai tempi di Blair, una persona come Faiza Shaheen sarebbe stata considerata la candidata ideale per il nuovo Labour, progressista e attento alle esigenze delle minoranze e dei gruppi sociali meno avvantaggiati.
In effetti, tra i primi a esprimerle pubblicamente solidarietà non ci sono soltanto gli esponenti della sinistra del partito, che non ama Starmer, ma anche una figura di indiscusso prestigio come Richard Wilkinson, epidemiologo e storico dell’economia, uno degli studiosi più autorevoli dei fattori sociali che influiscono sulla salute (un tema che, nel Regno Unito, è di bruciante attualità). Oltretutto, la sostituzione di Shaheen seguiva di poche ore le voci circolate sulla possibile esclusione anche di Diane Abbott, parlamentare Labour da decenni, la prima nera a essere eletta nel Regno unito. Nel caso di Abbott, Starmer è stato costretto a intervenire, ma lo ha fatto con una dichiarazione piuttosto ambigua.
A rendere la situazione ancor più tesa è stato l’annuncio della candidatura da parte del Labour di Luke Akehurst, una figura discussa per le sue posizioni estremiste sulla questione palestinese (ha difeso gli insediamenti illegali israeliani, e messo in dubbio che le immagini delle vittime a Gaza fossero genuine). L’impressione è che, all’esordio della campagna elettorale, Starmer abbia deciso che fosse preferibile umiliare persone che appartengono a minoranze, e difendono i diritti dei palestinesi, piuttosto che avere problemi con il governo di Netanyahu.
Queste scelte appaiono ancora più difficili da comprendere se si tiene conto che il leader laburista ha già un problema di credibilità con l’elettorato progressista, perché ha rinnegato buona parte degli impegni che aveva preso, dopo essere stato eletto, su questioni rilevanti dal punto di vista della diseguaglianza, un tema molto sentito nel Regno unito. La presa di posizione durissima di diverse figure di spicco della società civile, neri originari in gran parte dei paesi dell’ex impero britannico, fa pensare che si sia aperta una frattura, tra questi ambienti e il partito, che non sarà facile ricomporre, e che potrebbe avere qualche conseguenza negativa anche nelle urne.
Se il messaggio del nuovo Labour “nazionale” è che islamofobia e razzismo sono peccatucci perdonabili, ma la solidarietà con le vittime civili a Gaza è una macchia intollerabile, c’è poco da stare allegri. Che questo sia un errore di percezione di chi guida le strategie elettorali, o una scelta politica di fondo da attribuire alla responsabilità di Starmer, fa poca differenza in concreto. La nuova stagione dei Laburisti al governo potrebbe aprirsi nel segno di una regressione nel pluralismo interno perfino rispetto agli ultimi anni di Blair. Una pessima notizia.
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