ExtraTerrestre

Starlink, il pianeta in gabbia

StarlinkStarlink

La protesta degli astronomi Solcano il cielo all’imbrunire quasi ogni settimana. Stanno costruendo una «mega costellazione» di satelliti privati. Più di 6mila satelliti nello spazio. Impatto dannoso all’ambiente, nella ionosfera e sulla Terra

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 12 settembre 2024
Luca CeladaLOS ANGELES

Visti da Los Angeles, solcano il cielo all’imbrunire. Come oggetti siderali ma simili ad organismi bioluminescenti degli abissi, hanno una punta luminosa che fende l’atmosfera mentre, nella lunga scia, spande detriti che occasionalmente si staccano durate l’ascesa e ricadono come stelle filanti prima di estinguersi. Sono le astronavi della SpaceX, che stanno costruendo la prima «mega-costellazione» artificiale nello spazio.

OGNI RAZZO FALCON 9 CHE DECOLLA dalla base aeronautica di Vanderbergh, sopra Santa Barbara, è in grado di trasportare fino a 20 satelliti «v2 mini» che si vanno a ad aggiungere alla costellazione Starlink già in orbita a 450 km di quota attorno al nostro pianeta. Al 5 settembre, contava complessivamente 6.376 satelliti che rimbalzano segnale internet agli utenti che l’azienda di Elon Musk ha in tutto il mondo. Ma questi sono solo metà del totale della «fase 1», che dovrebbe venire integrata nei prossimi anni da complessivi 12.000 satelliti. Altre, successive fasi dovrebbero portare ad un totale di 30.000 satelliti privati in orbita attorno alla terra. Secondo Musk, una volta a regime pieno, il ritmo dovrebbe assestarsi sui 1.000 lanci all’anno.

L’IMMAGINE DELLA COSTELLAZIONE artificiale Starlink assomiglia a quella di una gabbia che cinge il pianeta e di cui un solo uomo ha la chiave. Né sembra che quella di Musk sia destinata a restare l’unica «costellazione» artificiale nel cielo. Già autorizzato e in fase di produzione è un analogo sistema di Amazon (Kuiper system) che si avvarrà di lanci Ariane, Lockheed e Boeing.

DA ESTREMA FRONTIERA DELL’AVVENTURA e dello scibile umano, lo spazio è di fatto stato convertito in un comparto industriale che vale migliaia di miliardi in profitti. La Nasa ha di fatto cessato operazioni di lancio trasferendole ad appalti privati come Boeing e SpaceX, finanziando il loro sviluppo tecnologico con lauti contratti per le missioni «taxi» di trasporto di astronauti e di rifornimento verso la stazione spaziale internazionale. Musk prevede inoltre di aggiudicarsi il contratto per le prossime missioni lunari e successivamente quelle verso Marte. Intanto, con la Starlink, Musk ha costruito la prima rete di internet satellitare che nell’ultimo anno ha fruttato alla SpaceX utili per un miliardo e mezzo di dollari circa, ma questo è solo l’inizio.

NEL RETROSCENA VI SONO LE PALESI implicazioni militari del settore. Starlink ha già dimostrato il suo valore come piattaforma di telecomunicazioni belliche in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Ora l’azienda ha già lanciato la divisione Starshield, dedicata a «costellazioni difensive ed offensive» a disposizione «degli Stati uniti e di suoi alleati» (o, presumibilmente, a chi Elon Musk riterrà di offrirle in leasing).

AL DI LÀ DELLA MILITARIZZAZIONE ormai aperta dello spazio, il fatto che un simile impresario di guerra possa a breve avere un incarico in un possibile prossimo governo Trump, apre scenari a dir poco inquietanti. Intanto, oltre alle questioni politiche e geopolitiche che solleva, il boom commerciale dello spazio orbitale sta già avendo impatti ambientali. PER COMINCIARE,

I SATELLITI STARLINK hanno una vita utile di circa 5 anni, dopodiché cominceranno a «de-orbitare», in altre parole a piovere sulle nostre teste. L’ipotesi è che i satelliti dismessi vengano inceneriti dall’attrito durante il rientro nell’atmosfera. Nella maggior parte dei satelliti è effettivamente così. Il rischio che detriti spaziali raggiungano la superficie è piccolo, quindi, ma dati i numeri, non pari a zero.

IN OGNI CASO LA DISTRUZIONE IN RIENTRO non equivale all’annientamento. Materiali residui, pure di piccolissime dimensioni, hanno comunque un impatto, come le nanoparticelle di ossido di alluminio che sono il sottoprodotto nel degrado di un satellite in fase di rientro (un unico satellite di 250 kg può produrne 30 kg). Sono sostanze che possono rimanere sospese nell’atmosfera per decenni. Per non dire delle emissioni e fuoriuscite di carburate dai razzi ed i loro effetti su plasma della ionosfera.

VI È POI LA QUESTIONE DELL’INQUINAMENTO visivo dei 50.000 satelliti che si prevede potranno presto essere in orbita attorno al pianeta, che potrebbero, avvertono gli scienziati, pregiudicare l’abilità stessa di condurre rilevamenti scientifici affidabili. Non si tratta solo della luminosità dei satelliti che compaiono ormai regolarmente nelle foto dei telescopi, ma anche della potenziale interferenza delle loro trasmissioni con quelli radioastronomici. E, come avverte Scientific American, i falsi segnali prodotti da oggetti artificiali mettono particolarmente a rischio il monitoraggio di asteroidi in potenziale rotta di collisione col pianeta. Una situazione che Jonathan McDowell, astronomo di Harvard valuta ormai come «un pericolo esistenziale» per l’astronomia, e su cui la comunità scientifica sta tentando con crescente senso di urgenza di sensibilizzare le autorità politiche.

TUTTAVIA, LA CORSA ALLO SPAZIO (ed ai fatturati che promette) non accenna a rallentare. Questa settimana ha visto i decollo in un Falcon 9 di un equipaggio della SpaceX che tenterà anche la prima sortita spaziale da parte di privati. Lo scorso giugno ha visto il primo esito positivo di una missione Starship, il razzo di seconda generazione della SpaceX. Progettato per le missioni lunari e marziane, è il più grande veicolo spaziale mai costruito (i suoi 120 metri di altezza sono quasi il doppio dello Shuttle). Si è trattato del quarto tentativo, preceduto da tre missioni fallite. La prima prova, effettuata nell’aprile dell’anno scorso, si è conclusa con lo «smantellamento rapido non programmato», un capolavoro di eufemistica per descrivere l’esplosione del razzo con conseguente pioggia di detriti sul Golfo del Messico. Anche la seconda e terza missione si sono concluse in modo esplosivo e almeno una conflagrazione, avvenuta ad una quota di 150 km, avrebbe, secondo i rilevamenti di una equipe russa, aperto un buco temporaneo nella ionosfera, la fascia atmosferica che protegge la Terra dalle radiazioni cosmiche. Secondo Yury Yasyukevich, dell’Istituto di fisica solare-terrestre, si sarebbe trattato della prima lacerazione degli strati di plasma dovuta ad un «fenomeno catastrofico» piuttosto che a fenomeni chimici. Ma l’impatto del boom spaziale non è limitato all’alta atmosfera. SpaceX ha operazioni in Florida, California e Texas ed in quest’ultimo stato (dove Musk si è trasferito per allontanarsi dalle più severe norme ambientali della California) sono ubicati i principali stabilimenti di produzione ed una base spaziale propria. La «starbase» si trova nei pressi di Brownsville a ridosso del confine col Messico per sfruttare la latitudine più meridionale possibile (utile per la messa in orbita).

QUI, A BOCA CHICA, MUSK HA ACQUISTATO 150 ettari di terreno privato, circondato però da una area naturale protetta, un terreno di dimensioni molto più modeste rispetto alle normali istallazioni spaziali governative, che sfrutta invece i terreni pubblici non edificabili attigui. Avendo inizialmente ottenuto i permessi per i decolli dei Falcon 9, l’azienda è successivamente passata ai collaudi del mega razzo Starship che per ogni decollo consuma 3.500 tonnellate di carburante. A parte le emissioni generate, i lanci producono un’onda d’urto esplosiva, milioni di gradi di calore e una fiammata che spande metalli e detriti ustionati per un paio almeno di km2. I quattro lanci finora effettuati hanno innescato diversi incendi nella bassa prateria circostante, compreso l’habitat delle 500 specie protette di uccelli che vivono, effettuano soste migratorie e nidificano negli acquitrini, scaraventando metallo e cemento fino a due km di distanza. L’anno scorso un consorzio di gruppi ambientalisti ha querelato SpaceX. Denunciando che la Federal Aviation Administration (Faa) ha omesso di imporre all’azienda i regolari studi di impatto ambientale.

SONO DENUNCE A CUI SI È ASSOCIATO anche il National Park Service, responsabile della protezione delle specie native, ma nel braccio di ferro fra diversi enti governativi sono prevalsi quelli preposti ad impulsare il commercio spaziale – in cui il governo ha un interesse di parte, in virtù degli appalti Nasa del valore attuale di 2,9 miliardi di dollari.

LE RECENTI DIFFICOLTÀ DELL’UNICO concorrente di settore, la Boeing, la cui navicella Starliner, per problemi tecnici ha lasciato «naufraghi» sulla Iss due astronauti, hanno rafforzato la posizione quasi monopolistica della SpaceX, che nel prossimo mese di febbraio dovrebbe riportare a terra i malcapitati astronauti. Lo spazio è sempre più privato e sempre più suo.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.



I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento