Stanno giocando un risiko pericoloso
Crisi ucraina Le guerre, anche solo minacciate, consentono ai virtuali contendenti di giustificare una esosa spesa militare, a rafforzare i governi protagonisti in nome dell'unità nazionale, a richiamare all'ordine i propri alleati, anche contro loro interessi ben concreti
Crisi ucraina Le guerre, anche solo minacciate, consentono ai virtuali contendenti di giustificare una esosa spesa militare, a rafforzare i governi protagonisti in nome dell'unità nazionale, a richiamare all'ordine i propri alleati, anche contro loro interessi ben concreti
Per comprendere quanto sta succedendo in Ucraina, è bene tenere presente la coda della guerra fredda che i suoi passati protagonisti tuttora usano a nostre spese, con rischi non trascurabili. Come ha scritto Tommaso Di Francesco, il presidente Biden “…ha giocato, e gioca, con Putin, alla guerra sulla carta geografica dell’Europa. Il risiko è rimasto sul tavolo, a chi il nuovo lancio?” (il manifesto, 14 febbraio scorso).
La caduta del Muro ha determinato alcune conseguenze a cui i due protagonisti non intendono rassegnarsi. In primo luogo ha ridotto, se non eliminato, la giustificazione per un enorme apparato di spesa militare e di costi umani. Dopo un breve periodo di riduzione – il cosiddetto peace dividend – la spesa militare è stata restaurata con l’aiuto dell’attacco alle Due Torri che ha surrogato il crollo della minaccia sovietica, in un secondo tempo parzialmente riesumata dalla destrezza operativa di Putin. Allora come oggi, sia Washington che Mosca hanno bisogno di nemici credibili per continuare ad alimentarla.
In secondo luogo, quel crollo ha liquidato il Patto di Varsavia e ferito mortalmente la Nato. A suo tempo mi è capitato di citare – proprio in sede di Assemblea Parlamentare della Nato (Bruges, 1992) – una nota filastrocca britannica: “All the King’s horses, all the King’s men, could never put Humpty Dumpty together again” . Tutti gli uomini, tutti i cavalli del re, non sono in grado di mettere insieme i pezzi di quel Humpty Dumpty, in veste Nato, caduto dal Muro su cui era seduto. Certo gli uomini del Re hanno fatto del loro meglio, cancellando gli accordi con cui Reagan e i suoi collaboratori avevano offerto a Gorbaciov l’assicurazione di non portare la Nato alle soglie dell’impero sovietico in frantumi. Al contrario, hanno accelerato l’ammissione all’ex alleanza difensiva degli ex paesi membri del patto di Varsavia e, in barba alla sua Carta istitutiva, esteso la sua competenza al mondo intero (“Out of area or out of business“, “Fuori zona o fuori uso”). Fecero il resto il naturale istinto di autoconservazione di qualsiasi grande istituzione e la lentezza dell’Unione Europea ad accogliere i nuovi membri. In altre parole, la Nato, pur claudicante, era stata riesumata, anche se Humpty Dumpty aveva cambiato missione e sembianze.
Dal punto di vista della Mosca di Putin e anche di Washington, occorreva anche evitare che la caduta del Muro desse vita e forma ad una Europa più unita e più forte. Contrariamente a quanto pensa la mia amica e compagna Luciana Castellina (il manifesto, 11 febbraio scorso ), una Europa più unita ha cessato di essere percepita come un partner più forte e più affidabile ed è diventata, nell’immaginario degli inquilini della Casa Bianca, da Nixon in poi, un concorrente sempre più temibile, via via che è iniziato il declino del potere egemonico degli Stati Uniti. Non a caso, Bush sr. si è impegnato a fondo contro l’euro, ostacolandone con ogni mezzo la ratifica da parte dei parlamenti europei. Giocare sul bisogno della Russia di riasserire il proprio ruolo di antagonista credibile a spese dell’Europa serve ad individuare un interesse comune, laddove la linea di demarcazione tra conflitto, per ora virtuale, e connivenza reale è tenue assai.
I miei lettori potrebbero chiedersi, a questo punto, cosa c’entra questa storia lontana con i giorni di tensione che stiamo vivendo e che ci portano giustamente a mobilitarci per una soluzione pacifica della crisi in atto.
Le guerre, anche solo minacciate, consentono ai virtuali contendenti di giustificare una esosa spesa militare, a rafforzare i governi protagonisti in nome dell’unità nazionale, a richiamare all’ordine i propri alleati, anche contro loro interessi ben concreti (costi energetici stellari, nel caso di sanzioni contro il “North Stream”). Realpolitik ? I suoi teorici, quali Henry Kissinger, esaltano i Metternich e i Bismarck, ma evitano di analizzare le origini della Prima Guerra Mondiale che nessuna parte in causa perseguiva. Resta inquietante come quella inutile strage, per usare le parole di Benedetto XV, sia stata innescata da un episodio violento, tuttavia in uno scenario di crisi di due imperi, quello Austro-Ungarico e quello Ottomano. Risulta pure inquietante il fatto che anche la crisi attuale trovi in due imperi in declino i suoi protagonisti, mentre sullo sfondo si profila l’ascesa della Cina.
Per concludere, il risiko in atto è pericoloso e, perché non degeneri in qualche cosa di diverso, occorre una diplomazia alternativa con obiettivi precisi. La mancata adesione dell’Ucraina alla Nato è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Potrebbe esserlo se, in alternativa si accelerasse il suo ingresso nell’Unione Europea dove quattro membri, in primo luogo la Finlandia, sono, oltre che neutrali, cioè non aderenti alla Nato, europeisti. Le minoranze possono essere tutelate da statuti come quello sudtirolese. Forse non basta focalizzare una soluzione sulla sola Ucraina. È giustamente stata evocata una Helsinki 2. La pace è una conquista, il frutto di una lotta, di cui si vedono per ora soltanto i primi accenni; richiede contenuti, frutto della comprensione della natura storica del conflitto in atto.
***(giangiacomo.migone@gmail.com)
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento