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Ssn, servono 4 miliardi ma c’è il rischio dei tagli

Ssn, servono 4 miliardi ma c’è il rischio dei tagli

Sanità Manovra e trattativa sul contratto «vecchio», sindacati sul piede di guerra. Iperlavoro non pagato spending review e blocco del turn-over

Pubblicato circa un anno faEdizione del 6 settembre 2023

Per la sanità servono almeno 4 miliardi aggiuntivi, di cui 2,7 miliardi solo per il rinnovo del contratto dei dirigenti, medici e veterinari per il triennio 2022-2024. Questa è la quota chiesta anche dalle regioni e dal ministro della Salute Schillaci al Ministero dell’Economia per rimpolpare il Fondo sanitario nazionale, nel 2023 a 128,8 miliardi di euro.

Vista l’esiguità delle risorse in cui come sempre si agita anche questo governo, non è certo che questi soldi saranno trovati nella legge di bilancio. Non è nemmeno detto che la cifra di cui si parla basti per mantenere il Servizio sanitario nazionale alle prese della stretta tra risorse contingentate e carenza di personale. Salvo una breve parentesi della pandemia Covid, da anni la sanità è compressa da spending review e blocco del turnover del personale. Le promesse di un riscatto sono rimaste, com’era evidente già all’epoca, lettera morta. Già il ministero dell’economia ha evidenziato la necessità di trovare una «mediazione» in vista della legge di bilancio. «Occorre aumentare dell’1,5% – ha detto Pierino di Silverio, segretario dell’Anaao Assomed – la percentuale della spesa sanitaria pubblica rispetto al Pil, ora intorno al 6,1%».

I sindacati si dicono sul piede di guerra e pronti alla mobilitazione. Il nodo al momento riguarda il finanziamento del rinnovo del contratto e in particolare i compensi per l’extra-lavoro. È stato calcolato che camici bianchi e infermieri «regalano» alle «aziende sanitarie-» circa 300 ore l’anno a testa, pari a un miliardo di euro. Al momento l’orario di lavoro è di 34 più 4 ore. C’è poi la richiesta di un contratto «flessibile», cioè con più tempo e con riconoscimento professionale. I sindacati non vogliono le 13-15 guardie al mese, che significa essere a giorni alterni a disposizione dell’azienda. Una prassi che contravviene anche alla normativa sul riposo.

Ieri, dopo la lunga pausa estiva, sono ripartite all’Aran le trattative ancora sul contratto 2019-2021, perché il confronto sul triennio successivo è ancora da intavolare. Nonostante le promesse durante il Covid non è stato trovato un rimedio nemmeno a uno dei problemi storici della contrattazione. Si parla pur sempre di un contratto scaduto. E nel mezzo c’è stata l’inflazione.

La nuova bozza del «vecchio» contratto prevede aumenti netti di circa 100 euro pro capite in busta paga, che lordi si attestano intorno ai 248, hanno spiegato i sindacati Anaao e Cimo. Le reazioni sono state positive, ma i nodi sono rimasti sul tavolo.
L’Aran avrebbe mostrato un’apertura alle richieste sindacali, ma sarebbero le Regioni a bloccare tutto. Prossimo incontro il 20 settembre. Nel frattempo le Regioni che dovranno pronunciarsi sull’intero impianto della bozza per gli aspetti relativi all’orario di lavoro, ai fondi contrattuali, al servizio fuori sede. Senza novità i sindacati hanno annunciato la mobilitazione.

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