Economia

Spending review: un altro taglio da 3 miliardi, sono stati già colpiti poveri e pensionati

Spending review: un altro taglio da 3 miliardi, sono stati già colpiti poveri e pensionati

La storia L’anno scorso Giorgetti aveva già fatto la «faccia cattiva» con ministeri ed enti locali: non è bastato. Si torna a ridurre le spese dei ministeri: dal 2012 c’è stato un risparmio dello 0,1% del Pil. Il Welfare è stato devastato. Parte un nuovo round dell’austerità

Pubblicato circa 8 ore faEdizione del 15 ottobre 2024

Non sono stati in molti a ricordare il fatto che anche l’anno scorso il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ha finto di fare la «parte del cattivo» con i ministeri e gli enti locali. Era il 7 agosto 2023. Il governo varò un decreto in cui diceva di volere fare una «spending review» (in italiano: «riduzione della spesa»): ministeri, comuni, province e regioni avrebbero dovuto consegnare a Giorgetti 1,5 miliardi di euro in tre anni. Dopo una rivolta degli enti locali l’importo è stato ridotto a un miliardo. Evidentemente non è bastato.

La recita a soggetto è ricominciata. Quest’anno, dicono le voci dal sen fuggito dal governo, serviranno altri tre miliardi, non è chiaro se in dodici mesi o in trentasei. Sono cifre tutt’altro che realistiche, messe in circolo per disperazione. Con il nuovo patto di stabilità, in effetti, non si scherza. È iniziato il nuovo round dell’austerità, cioè il modo usato dall’Europa neoliberale per reprimere i salari e i servizi, finanziando la redistribuzione della ricchezza verso l’alto. Il governo Meloni è un agente di questa strategia. L’abbiamo vissuta negli ultimi anni. Oggi si replica.

Un po’ di storia è utile per capire quanto la «Spending review» sia inutile per risparmiare sui costi dei ministeri. Così sono state presentate le uscite giorgettesche degli ultimi giorni. Allo stesso tempo i tagli diretti e indiretti sono il modo usato da una ventina d’anni per distruggere il Welfare: blocco della spesa, delle assunzioni e del turn-over nella Pubblica amministrazione, rallentamento all’inverosimile degli aumenti dei salari, peggioramento delle prestazioni. Chi ha avuto la sventura di andare in un pronto soccorso sa di cosa parliamo.


Analisi come quelle dell’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore hanno attestato che dal 2012 a oggi gli effetti della «revisione della spesa» nelle leggi di bilancio hanno portato a risparmi dello 0,1 per cento del Pil all’anno. I cosiddetti «risparmi» sono stati riassorbiti dalle nuove uscite. Un esito confermato in due anni di maxi-inflazione durante i quali è aumentata la «spesa per i consumi finali» necessari per garantire i servizi ai cittadini.

L’unico, vero, risparmio sulla spesa sociale realizzato dal governo Meloni è stato realizzato tagliando 1,1 miliardi all’ex «reddito di cittadinanza» oggi chiamato «assegno di inclusione»; attraverso la parziale deindicizzazione delle pensioni che ha portato a risparmi da 3,5 miliardi nel 2023 e da 6 miliardi nel 2024); dal mancato pieno adeguamento per l’inflazione della spesa sanitaria.

Ciò che non viene detto nello stanco dibattito prodotto sulla manovra è che ci troviamo informalmente già da due anni in austerità. Con la manovra di quest’anno lo saremo ufficialmente. E le prospettive risultano peggiorate. Il governo è appesantito da una procedura Ue per deficit eccessivo che lo obbligherà a cercare 13 miliardi di «risparmi» per il 2025 e i sei anni successivi. Questa è la prospettiva che si prepara se la Commissione Europea accetterà la richiesta del governo di spalmare l’austerità in sette anni.

La manovra di quest’anno è ancora scritta sulla sabbia. Lo resterà dopo stasera quando il Consiglio dei ministri avrà varato il «Documento programmatico di bilancio» (Dpb). Il testo sarà inviato alla Commissione Europea. La prossima settimana arriverà in parlamento. È l’inizio di un percorso già scritto. Giorgetti dice che l’approccio del governo ai conti pubblici resta «prudente» e «responsabile». Lo dicono sempre quando si tratta di chiedere «sacrifici» a chi rinuncia ai servizi pubblici, all’aumento dei salari o a farsi curare.

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