Economia

Manovra, dopo i litigi spunta il «contributo» delle banche

Antonio Tajani e Matteo Salvini foto di Fabio Frustaci/AnsaAntonio Tajani e Matteo Salvini – foto di Fabio Frustaci/Ansa

Il piatto piange La Lega: «Sacrifici per chi ha guadagnato di più». Tajani: «No a tasse sugli extraprofitti». L’ora x è arrivata senza accordo né coperture. Con gli istituti per ora solo un «confronto»

Pubblicato circa 8 ore faEdizione del 15 ottobre 2024

Il contributo delle banche alla fine ci sarà, anche se sotto quale forma, se volontario e concordato o deciso dall’alto, è ancora tutto da verificarsi e probabilmente non lo si saprà prima della riunione del consiglio dei ministri di stasera: «C’è un confronto in corso», fanno sapere dal Mef. Ieri è proseguito il botta e risposta tra Lega e Fi, attestate sulle rispettive e contrapposte posizioni. Il vicesegretario leghista Crippa martella: «I sacrifici sono necessari per le banche ma non solo per le banche ma per tutti quelli che hanno guadagnato di più». Forza Italia ha già fatto sapere, tutti i giorni e in tutte le lingue, di considerarla roba da bolscevichi. Tajani ribadisce: «Non ci saranno tasse sugli extraprofitti». Però, concede, «si troverà un accordo con le banche perché possano aiutare lo Stato in questo momento particolare». Sin qui la disponibilità delle banche a dare un aiutino volontariamente non era apparsa particolarmente generosa: si vedrà oggi.

CI SARANNO ANCHE I TAGLI lineari per le spese dei ministeri, quelli minacciati da Giorgetti e da uno stuolo di ministri dell’Economia prima di lui. Uno solo però è passato dalle minacce ai fatti, quello che non aveva bisogno di fare il cattivo perché gli veniva spontaneo: Tremonti nel 2008. I tagli, pur essendo lineari, dovrebbero essere anche flessibili, cioè potranno essere gestiti con una certa elasticità dai ministeri. Sembra una contraddizione in termini e si vedrà come il mago Giorgetti riuscirà a quadrare il cerchio.

Insomma l’ora x è arrivata ma le coperture ancora non ci sono e l’accordo neppure. Il cdm che dovrà varare il Documento programmatico di bilancio è convocato per le 20 di stasera. Il braccio di ferro e l’affannosa ricerca di fondi un po’ ovunque proseguiranno probabilmente sino all’ultimo secondo. L’agenda della serata è fitta, oltre al documento da far pervenire subito a Bruxelles si discuterà anche il decreto fiscale e la legge di bilancio vera e propria, che però non arriverà probabilmente a stesura definitiva prima di lunedì prossimo. Poi l’iter partirà dalla Camera e in realtà terminerà a Montecitorio, essendo ormai prassi la discussione delle leggi di bilancio, in realtà di quasi tutte le leggi, in una camera sola. Il Senato non andrà oltre la ratifica.

IL CONTENUTO della manovra è ormai noto anche ai sassi: conferma del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro, circa 14 milioni di lavoratori interessati, ma con il tetto che potrebbe arrivare a 40mila euro. Poi accorpamento delle prime due aliquote Irpef, aiuto alle famiglie con figli, contratto della Pa e qualcosina dovrebbe spuntare anche per la sanità ma quella è una voce ancora del tutto in bianco.

Anche il costo è noto: 25 miliardi. Ignoto è in compenso da dove spunteranno i 9 miliardi ancora vacanti. Il taglio delle spese dei ministeri, reclamato con la faccia cattiva da Giorgetti ci sarà, «lineare e flessibile», ma nessuno scommetterebbe un soldo sul raggiungimento dei 3 miliardi previsti. Nel fine settimana i ministri tutti, a partire da Salvini, si sono presentati da Giorgetti, metà pregando metà protestando, e chi non è arrivato in carne e ossa ha trovato modo di far sapere che il suo dicastero più che tanto non può fare e quel tanto non basta a coprire l’introito previsto. Se si quadreranno 2 miliardi ci sarà già da stappare lo spumante, ché allo champagne è meglio non pensarci neppure.

E I RIMANENTI 6 MILIARDI, che poi saranno probabilmente 7? I guai cominciano proprio lì, non solo perché il capitolo banche non sembra ancora definito ma anche perché non basterà comunque a chiudere il conto. Dunque bisognerà probabilmente bussare anche alle porte delle aziende che hanno accumulato profitti in quantità negli ultimi anni, dal Covid in poi, dei quali hanno poi reinvestito solo il 20%. Sempre che non rispunti l’ipotesi di una sforbiciata non per modo di dire agli sgravi fiscali, che valgono nel complesso 120 miliardi e anche una minima parte sarebbe almeno per quest’anno risolutiva. In fondo il presidente di Confindustria Orsini almeno a parole si era detto disponibile… Ma questo è solo l’inizio: per quest’anno la raccolta fondi a base di una tantum ed espedienti vari può bastare. Nei prossimi non sarà sufficiente.

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