Zucchero, acqua e latte. Prima era stato il turno di farina e caffè. Oggi in Tunisia si fa fatica ad accedere ai beni di prima necessità, segno di una crisi economica galoppante che promette di presentare il conto molto presto. Prodotto largamente utilizzato nel paese, lo zucchero è ora merce rarissima. Basta camminare per gli alimentari di Tunisi per rendersene conto. «Arriva domani, Inshallah», è la cantilena a cui si stanno abituando le tunisine e i tunisini in queste settimane.

NEL RESTO DEL PAESE la situazione non è diversa. In un video pubblicato sui social network è stato immortalato un momento di ressa e panico per accaparrarsi alcuni sacchi di zucchero in un raro momento di disponibilità da parte di un supermercato.

Immagini che resteranno nell’immaginario collettivo di un paese che fatica a uscire da una crisi strutturale pluridecennale e il cui futuro non sembra promettere nulla di buono. Passato il momento dell’incredulità, bisogna cercare di capire le ragioni. Ce ne sono più di una e sono intrecciate tra loro. In primis la speculazione interna.

Il piccolo Stato nordafricano prevede un complesso sistema di sovvenzioni sui beni di prima necessità e l’aumento dell’inflazione nel paese a causa dell’offensiva russa in Ucraina (8,6% ad agosto) ha suscitato l’interesse degli speculatori nei monopoli di Stato. L’obiettivo di togliere beni dal mercato e fare esplodere i costi ha suscitato l’ira del presidente della Repubblica Kais Saied: «Farò una guerra senza sosta agli speculatori che minacciano la pace sociale e la sicurezza».

L’altra ragione sono le casse dello Stato, pressoché vuote. Diversi analisti ritengono che la speculazione non basti a spiegare la penuria in un paese che importa gran parte dei beni di prima necessità. «Il discorso dell’esecutivo non è oggettivo – ha spiegato l’economista Moez Hadidane all’agenzia di stampa nazionale Tap – Il vero problema è l’incapacità delle finanze pubbliche a continuare a svolgere un ruolo da Stato previdenziale».

NON È UN CASO che il governo stia chiudendo un accordo da 2 a 4 miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale (Fmi) in cambio di ingenti tagli alla spesa pubblica, incluse le sovvenzioni di Stato che hanno già fatto storcere il naso al sindacato più importante del paese, l’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt): «La questione sta diventando sistematica – ha commentato il segretario generale Noureddine Taboubi – Si stanno spingendo i tunisini ad acquistare certi prodotti a qualsiasi prezzo per prepararli psicologicamente al peggio ma osserviamo che l’80% della popolazione ha bisogno di queste sovvenzioni».

Nel frattempo, mentre il paese aspetta che vengano messe a regime più di 27mila tonnellate di zucchero provenienti dal Brasile, il presidente Kais Saied continua a cercare di mantenere saldo il controllo sulla Tunisia dopo il referendum costituzionale del 25 luglio scorso con cui si è consegnato i pieni poteri.

Prima con una legge sulla disinformazione e le fake news che promette di rendere la vita impossibile ad attivisti e giornalisti, successivamente con una legge elettorale in vista delle elezioni di dicembre per rendere ininfluente il ruolo dei partiti politici, nemici giurati del responsabile di Cartagine.

PROBLEMI DI POCA importanza per i tunisini che stanno facendo i conti con la degradazione delle condizioni economiche e sociali. A Mornag, uno dei sobborghi di Tunisi, un giovane ambulante si è tolto la vita dopo che la sua merce è stata sequestrata dalla polizia. Da qui sono scattate diverse proteste in alcuni quartieri della capitale per chiedere interventi mirati e l’abbassamento del costo della vita. Segno, questo, che il consenso di cui gode Saied non è infinito. Data la situazione attuale, il rischio è di assistere nelle prossime settimane a un autunno molto caldo.