Il cinema ancestrale di Carlos Coneicao tra mito e erotismo
Cinema La nuova opera del regista, «Nação Valente» (Tommy Guns), in concorso a Locarno75
Cinema La nuova opera del regista, «Nação Valente» (Tommy Guns), in concorso a Locarno75
Il cinema di Carlos Conceição, per quanto ancora incipiente, è tra i più affascinanti che si possano trovare in giro oggi per l’Europa, e non solo: estroso, sensuale, ancestrale, delinea ogni volta le tappe – traslucide o ctonie, sempre misteriose – di una sorta di avventura dello sguardo. Il suo debutto nel lungometraggio avvenuto a Berlino nel 2019 con Serpentario aveva chiarito la temperie di queste tappe, tra autorialità e genere, materiali colti e altri di risulta, storia e mito: come una tensione a voler sciogliere le incongruenze, le contraddizioni della storia nella motopoiesi, nel mito dell’infanzia, che è infanzia personale, quella trascorsa in Angola, ma anche infanzia del mondo. Eppure forse il film più libero, più sensuale di Conceição è quello che ancora deve vedere la luce, già montato nel 2017 e poi scomparso, film-fantasma arenatosi tra i fiordi della distribuzione, anche di quella festivaliera. Il titolo di quel film era Flowers From Godzilla (in realtà ce n’era anche un altro già pronto nel 2018, forse meno folgorante ma comunque interessante, in predicato di uscire nel 2023, come del resto Godzilla, stando ai data base): un film eccentrico, tra Cesar Monteiro e Yann Gonzalez per quant’era erotico e multicolore, filosofico e pop, stralunato e lunare.
ECCO, UNA SENSUALITÀ che resiste ora in Nação Valente (Tommy Guns) in concorso a Locarno75, soprattutto all’inizio in cui la macchina da presa, il suo occhio, sembra quasi sciogliersi nei rivoli colloidali di un bacio, uno dei baci più lunghi e lingueschi visti negli ultimi anni; e in quelli indaco di un corso d’acqua, mentre intorno tutto è sole e silenzio, fruscio e afrore di natura. È una sensualità esotica, estenuata e ambigua che in effetti non mancherà di mostrare il suo lato violento e morboso quando un soldato dopo l’amplesso con la giovane angolana e dopo aver recitato le preghiere, le spara in balia del fanatismo militaresco, della Storia, del delirio coloniale di un colonnello portoghese.
Come avviene solo nei grandi film – e questo lo è senza dubbio – spazio e tempo si relativizzano, si liquefano dando origine a un altro mondo, a un’apnea in cui galleggiano cose provenienti dal futuro e da un altrove tra cui un quadro che raffigura Brigitte Bardot: il cinema diviene per l’ennesima volta – o forse semplicemente si svela per quello che è e in una maniera sempre nuova – tunnel spazio-temporale che riconduce al solo luogo – e al solo tempo – degno di senso: il mito, la favola da Mille e una notte, che era stato l’inizio sospeso del film. Torna quella commistione tra i registri, tra i generi, alla base di un film come Sepentario o del mediometraggio Um Fio de Baba Escarlate e tanto più di Flowers From Godzilla, torna in tutto il suo splendore ludico che alterna idillio a orrore, delirio a sogno, violenza cieca a ironia e a eros estatico, mentre si aspetta l’arrivo di Godzilla.
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