Spari, fumo e razzi per terra, il tritacarne chiamato Bakhmut
Il limite ignoto Dentro la frontiera della guerra, nel fantasma di ciò che un mese fa era una città, dove il boss di Wagner vuole macinare esseri umani
Il limite ignoto Dentro la frontiera della guerra, nel fantasma di ciò che un mese fa era una città, dove il boss di Wagner vuole macinare esseri umani
«Questo sono io» dice Sergey alzando gli occhi al cielo mentre l’ennesima salva d’artiglieria tuona su Bakhmut. «Cioè, l’esercito ucraino», precisa. Tutto il giorno, senza sosta, da settimane, Bakhmut è il teatro di una battaglia sanguinosa che al momento si combatte ancora dalla distanza.
Sergey prova a rassicurarci ma c’è poco da fare, le esplosioni continue parlano da sole, «meglio non andare avanti» conclude, sapendo già che non lo ascolteremo. Poco più avanti, dalla cima della collina che sovrasta la città, si vedono i fumi dei bombardamenti recenti, più bianchi, e quelli neri degli incendi. La strada è ghiacciata e non si può accelerare come si vorrebbe, anche perché in quel punto si è troppo esposti e da lontano la scritta “press” protegge poco. I puntatori vedono solo un’auto in avvicinamento su una strada scoperta. Ogni curva è un azzardo, i militari corrono e sbandano in continuazione con i loro 4×4 e i mezzi pesanti.
LA CITTÀ È IL SIMULACRO di quella che era un mese e mezzo fa. Sotto una spessa coltre di neve e ghiaccio le strade sono interrotte da crateri grandi come una macchina, da macerie e tralicci dell’alta tensione spezzati al suolo, capsule di cemento e barricate varie. Quelle che gli ucraini chiamano “capsule” sono piccole costruzioni di cemento a forma di cilindro con una sola feritoia per sparare e una piccola via d’uscita alle spalle. Sono dei bunker come quelli che si trovano ancora su alcune coste italiane costruiti durante la II Seconda Guerra mondiale. Qui li portano i tir e li depositano al suolo con la gru. I soldati destinati alla capsula devono resistere a tutti i costi contro l’avanzata della fanteria nemica. E probabilmente è per questo che la città ne è piena, gli ucraini si preparano a sbarrare il passo al nemico dando battaglia nelle strade.
PERÒ NON VUOL DIRE che qui le forze armate di Kiev resisteranno «fino all’ultimo uomo», come continuano a sostenere in molti. Per quanto Bakhmut possa essere importante strategicamente non vale lo stillicidio delle già provate truppe di difesa in Donbass. Oltre tre mesi di battaglia, mutata nelle ultime due settimane quasi in un assedio, hanno assolto la funzione di tenere le forze russe impegnate in quest’area e dato respiro ai reparti dei difensori altrove.
Ma chissà se ora il comandante in capo delle forze armate ucraine sosterrebbe ancora che «anche se Bakhmut dovesse cadere per noi sarebbe una vittoria». La resistenza ha un costo altissimo e prosciuga il bene più prezioso per gli ucraini: i soldati. Forse la tattica di fiaccare gli invasori costringendoli a una battaglia estenuante si sta rivelando un’arma a doppio taglio. Finora l’esercito russo non ha dato dimostrazione di tenere in alcuna considerazione la vita dei propri uomini nell’est. E non si tratta di un giudizio aprioristico, ma di una valutazione delle operazioni militari decise da Mosca da quasi un anno a questa parte. Per quanti uomini muoiano al fronte il Cremlino può indire una nuova mobilitazione, per il governo di Zelensky è molto più complesso. Dunque, per quanto ancora le forze armate di Kiev reputeranno che resistere a Bakhmut vale la pena non è dato sapere. Ad ogni modo, la ritirata è assolutamente tra le opzioni.
PER LE CARATTERISTICHE che ha assunto la battaglia di Bakhmut si parla di «tritacarne». In altri termini, di massacro continuo. Lo stesso capo della brigata di mercenari russi Wagner, Evgeny Prizoghin, ha dichiarato ieri che «Bakhmut non verrà presa domani, perché c’è una forte resistenza, il tritacarne funziona e affinché il tritacarne funzioni correttamente è impossibile iniziare improvvisamente i festeggiamenti».
Festeggiamenti, ha precisato Prigozhin, che non saranno comunque a breve. Non solo, secondo il capo dei mercenari filo-russi, neanche l’assedio è al momento una prospettiva reale, mancherebbero i presupposti tattici. Tra la Wagner e le forze regolari russe è nata una sorta di rivalità che dal campo di battaglia si è spostata anche ai vertici del governo russo. Prigozhin ha tutto l’interesse a sostenere che il nemico è valoroso per sottolineare quanto i suoi stiano sbagliando e tentare di intervenire come salvatore della patria.
INTANTO IN PIAZZA LIBERTÀ, la stessa dove c’era il mercato, raso al suolo mesi fa, si sentono distintamente rimbombare le mitragliatrici pesanti e, addirittura, sibilare i mortai. I resti di razzi grad conficcati nel suolo sbucano dalla neve più fresca e sui muri le schegge delle bombe a grappolo si confondono con le crepe. Verso est, oltre i palazzi ancora integri sale l’ennesima colonna di fumo mentre in cielo diversi stormi di corvi volano bassi. Ogni tanto calano su qualche carcassa di cane e la smembrano in curanti del caos che regna tutto intorno.
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