Spagna, l’accordo Psoe-Podemos per invertire la rotta dell’austerità
Bilancio 2019 Dall’aumento del salario minimo alla patrimoniale, fino al controllo degli affitti, è il patto Sánchez-Iglesias per un governo che punta a durare. Ma in parlamento servono i voti dei nazionalisti baschi e catalani
Bilancio 2019 Dall’aumento del salario minimo alla patrimoniale, fino al controllo degli affitti, è il patto Sánchez-Iglesias per un governo che punta a durare. Ma in parlamento servono i voti dei nazionalisti baschi e catalani
Senza dubbio ieri è stata la giornata più importante del breve governo di Pedro Sánchez che conta 124 giorni: il patto fra il Psoe e Unidos Podemos ha infatti tutta l’aria di essere di legislatura più che un accordo per approvare i conti del 2019. I negoziati andavano avanti ormai da settimane e persino la mossa di lunedì, quando Podemos ha minacciato di mandare tutto a monte, è sembrata scritta nel copione di ogni buon negoziato che sta per chiudersi positivamente.
Con l’inusuale scena della firma alle 8.30 del mattino, il premier Sánchez ha ottenuto un’enorme boccata di ossigeno, ha rispettato l’impegno di presentare la settimana prossima i conti a Bruxelles ed entro la fine del mese al Congresso; e Podemos, oltre a un notevole miglioramento complessivo d’immagine, ha certamente ottenuto di mettere nero su bianco – in 50 pagine di accordo – alcuni impegni marcatamente di sinistra e cari al suo elettorato, quasi rivoluzionari dopo un decennio di politiche regressive di destra. Nel complesso, la coalizione di sinistra è pronta a presentarsi agli elettori in un anno chiave (per le europee e per le amministrative, oltre che per le regionali in Andalusia tra due mesi) come una concreta opzione di governo.
La portavoce del governo, Isabel Celaá comparsa ieri dopo il Consiglio dei ministri accanto alla ministra delle finanze María Jesús Montero, ha spiegato che questo budget vuole portare il miglioramento economico, la fine della crisi, per i cittadini: «Che lo notino davvero nelle loro vite». È un patto «nella linea programmatica di entrambe le parti», ha detto, e che vuole «fare passi in avanti nel consolidamento del welfare».
FRA LE MISURE più significative ed emblematiche: salario minimo da 736 euro a 900 euro al mese; aliquote Irpef più alte a partire dai 130mila annui, patrimoniale dell’1% alle fortune di più di 10 milioni e una specie di tassa Tobin dello 0.2% per le transazioni finanziarie; pensioni legate all’inflazione reale (come richiesto dalle manifestazioni dei pensionati delle scorse settimane) e reintroduzione di aiuti per i disoccupati di più di 55 anni; aumento del 40% dell’esiguo budget per gli assegni sociali per le persone dipendenti, storica richiesta della sinistra e delle comunità autonome; 50 milioni per combattere la “povertà energetica” e incentivi per l’auto elettrica; aumento del budget per la casa, ma soprattutto la richiesta principale di Podemos e dei «comuni del cambio» di poter regolare gli affitti nel caso di bolle speculative, come a Barcellona, e la promessa che i contratti torneranno a essere quinquennali. Non a caso la sindaca Ada Colau ha immediatamente dato una conferenza stampa promettendo che appena ne avrà le competenze, Barcellona limiterà il prezzo degli affitti «immediatamente», dato che in Catalogna si è già istituito un «indice dei prezzi di riferimento» che permetterà di individuare gli aumenti abusivi degli affitti.
E ANCORA, in linea con le priorità del governo socialista, un aumento del 6.7% dei fondi per la ricerca: il maggiore dai tempi di Zapatero, oltre a un’iniezioni di fondi extra per i progetti di ricerca nazionali del 22%. O anche l’aumento dei fondi per combattere la povertà infantile: +25 milioni per le mense.
IL PATTO PREVEDE anche misure oltre ai conti del 2019: Iglesias e Sánchez si sono impegnati a modificare la legge sulla violenza machista per chiarire che il consenso c’è solo nel caso di un “sì” esplicito, o a depenalizzare gli anacronistici reati di offesa alla corona o ai sentimenti religiosi (per i quali ci sono stati celebri casi di condanna negli ultimi tempi).
Altra misura stellare: equiparazione entro il 2021 della maternità e della paternità: dall’anno prossimo i papà passeranno da 5 a 8 settimane di congedo, 12 nel 2021 e 16, come le donne, nel 2021. Il congedo non sarà trasferibile. Sempre in linea con la conciliazione familiare, i comuni saranno autorizzati a spendere il surplus per i nidi (il Pp lo aveva impedito), e il governo stanzierà 50 milioni extra per i comuni che non hanno surplus. Il budget «con prospettiva di genere» tanto voluto dal governo non è ancora stato definito, eccetto che per l’abbassamento dell’Iva per i prodotti indispensabili di igiene femminile, come gli assorbenti e i tamponi. Altre misure in cantiere: la riforma della restrittiva legge sul lavoro del Pp, alcuni aspetti già entro il 2018; riforma della legge bavaglio; riforma delle partite Iva, per combattere le false partite Iva e per razionalizzare i contributi (oggi non si distingue fra chi guadagna poco e le grandi imprese).
ORA BISOGNERÀ aspettare la luce verde di Bruxelles, senza poter contare sui 6 miliardi extra di indebitamento concessi dall’Unione che il Pp con un escamotage tecnico ha impedito che l’attuale governo potesse utilizzare. E soprattutto bisognera aspettare il voto del parlamento: per raggiungere la maggioranza, 151 voti, ne mancano 25. Oltre ai nazionalisti baschi, l’osso più duro saranno i catalani.
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