A meno di sorprese, il Congresso spagnolo oggi approverà la prima legge di amnistia non fiscale dall’avvento della democrazia: l’ultima era stata approvata nel 1977 per cancellare i crimini del franchismo.

Ma il cammino per arrivare fin qui è stato tortuoso: il partito socialista ha cominciato a parlare di questo strumento giuridico, che gli indipendentisti catalani reclamano da anni, solo quando, a luglio, è apparso chiaro che l’unica strada perché Pedro Sánchez tornasse a varcare la Moncloa, sede del governo, era quella di sedersi a parlare con Esquerra Republicana e Junts per Catalunya.

Il leader di quest’ultimo partito è il pesce più grosso: Carles Puigdemont, dopo il referendum dell’1 ottobre 2017, scappò in Belgio e da allora non ha mai più messo piede nella penisola iberica. Ma l’obiettivo politico di questa legge, che ora anche il partito socialista abbraccia, è quello di degiudizializzare tutti i reati (veri o presunti) commessi dagli indipendentisti. E di riportare, finalmente, la questione dell’indipendenza della Catalogna nell’ambito del dibattito politico e fuori dalle aule dei tribunali.

Sánchez ha fatto di necessità virtù. Alla sua sinistra Podemos e molti altri partiti suoi alleati gli chiedevano questo passo da tempo: ma è oggi che il primo ministro non ha alternative se vuole mantenersi in piedi. La mossa gli sta costando moltissimo: sono mesi che il Pp porta in strada migliaia di persone inviperite.

Il tono del capo dell’opposizione, Alberto Núñez Feijóo, è fuori dalle righe: accusa il leader socialista di essere un venditore della patria, un corrotto (politicamente), un antidemocrata. Il Pp in queste settimane non ha risparmiato iperboli eversive. Da «la sovranità nazionale non risiede in parlamento», «non c’è più la costituzione», a «il tribunale costituzionale è il cancro dello stato» (perché ora la maggioranza dei magistrati del massimo organo giudiziario non è più ancorata a destra). L’ultima manifestazione, come sempre a Madrid, domenica: alcune decine di migliaia di persone e tutti i massimi leader del partito in piazza per dire che il sanchismo è il male.

Nonostante l’amnistia, secondo gli ultimi sondaggi, occupi la posizione 24 nelle preoccupazioni dei suoi concittadini, il Pp punta tutto su questo scontro perché in gioco c’è la leadership di Fejóo, e le elezioni nella roccaforte azzurra della Galizia, fra pochi giorni.

Probabilmente il Pp otterrà di nuovo la maggioranza assoluta, ma se Sumar dovesse riuscire a entrare (nel frattempo, separato da Podemos) il Pp potrebbe non farcela.

Alla veemente, ancorché legittima, opposizione ideologica si aggiunge anche la guerra giudiziaria scatenata da ambienti vicini alla destra. Giudici collocati in posizioni chiave controprogrammano le mosse del governo. Se il Psoe negozia con gli indipendentisti di allargare le maglie dell’indulto, un giudice fedele al Pp, Manuel García Castellón, decide il giorno dopo di ritrovare in una causa aperta da anni sui disordini seguiti alle manifestazioni contro le pesantissime condanne ai leader indipendentisti, indizi di gravi atti di terrorismo e di un possibile attentato alla corona, dietro cui, ci sarebbe proprio Puigdemont.

L’ok alla legge sull’amnistia deve passare le forche caudine del Senato, dove il Pp ha la maggioranza: non può fermarne l’approvazione, ma la può ritardare di almeno tre mesi. Anche se, paradossalmente, la migliore garanzia per Sánchez è proprio la discussione su questa legge: finché non verrà approvata, gli indipendentisti non avranno la tentazione di farlo saltare.