Le proteste dei trattori di questi giorni sono un giustificato grido d’allarme per un settore in difficoltà, sia per motivi strutturali che congiunturali. Le produzioni agricole di qualità devono essere maggiormente tutelate, così come le lavoratrici e i lavoratori dei campi, spesso sfruttati. L’attuale modello di produzione è insostenibile dal punto di vista etico e ambientale, ma anche da quello prettamente economico, e le proteste lo confermano.

Ma mantenere uno status quo, che permetta alle aziende agricole di sopravvivere nel breve periodo, non è la risposta adeguata a questa fase di transizione climatico-ambientale che ci pone davanti al rischio concreto di una crisi irreversibile. E questo non può essere terreno di campagna elettorale. Sul punto, sorprende che le proteste dei trattori, che bloccano le strade, siano in qualche modo giustificate, mentre pochi mesi fa i lavoratori di Cgil e Uil che esercitavano il loro diritto di sciopero siano stati subito precettati.

L’approccio iperliberista e la deregolamentazione dei mercati hanno fatto sì che il valore della produzione agricola sia rimasto schiacciato nella dinamica della filiera, così come delle fluttuazioni delle commodities e delle ormai consuete speculazioni sulle materie prime (futures e simili) che andrebbero vietate sui beni alimentari a livello internazionale.

Tali dinamiche sono aumentate dopo lo scoppio delle guerre e delle tensioni internazionali e sono ricadute pesantemente sulle medie-piccole imprese alle quali arrivano sempre meno aiuti dalla Pac, Politica agricola comune. Peraltro non va sottovalutata la dimensione di chi ha individuato, nello sfruttamento indiscriminato del suolo e degli stessi lavoratori, tramite i caporali, la risposta per mantenere alti i propri profitti generando una competizione sleale tra le imprese e alimentando un sistema in cui l’irregolarità è troppo spesso diventata la norma.

L’obiettivo è quello di intervenire in maniera strutturale sul sistema produttivo agricolo, valorizzando il carattere multifunzionale del settore così come le competenze professionali e la qualità del lavoro. Dobbiamo investire in conoscenza e ricerca, e ricomporre il valore della filiera in maniera da dare il giusto peso economico alla produzione. Oggi le imprese agricole sono schiacciate a monte dai costi di sementi, concimi, pesticidi e altro, e a valle dai prezzi fatti dall’industria di trasformazione e, soprattutto, dalla Grande distribuzione organizzata.

Senza il recupero del ruolo e del valore dell’azienda agricola, la produzione continuerà a essere il classico vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Per questo appare necessario favorire, da un lato, la capacità di costituirsi in consorzi per avere maggiore forza contrattuale all’interno della filiera, dall’altro sostenendo l’unicità del prodotto agricolo mediante la valorizzazione delle strategie basate sulla qualità, sulla biodiversità e sul rispetto del lavoro (cibo buono e giusto).

Ciò significa rilanciare il protagonismo del territorio puntando sui modelli organizzativi distrettuali, sia per valorizzare know how, competenze, cultura e tradizione alimentare, sia per potenziare l’offerta di servizi ecosistemici che viene garantita dalle aree rurali, contrastando lo spopolamento delle aree interne. Garantire, anche indirizzando politiche e conseguenti finanziamenti della Pac, una distribuzione equa delle risorse e delle opportunità nel settore agricolo, privilegiando il lavoro invece che gli ettari, e sostenendo l’economia circolare attraverso la messa in opera di sistemi di produzione non più intensivi e specializzati, bensì maggiormente rispondenti ai cicli naturali e a un concetto di produzione agroecologica. Occorre inoltre rendere effettiva in Ue la piena attuazione della condizionalità sociale che, dopo importanti battaglie sindacali, è stata finalmente inserita nella nuova Pac.

*Segretario generale Flai Cgil