Sospesi i voli dall’Argentina al Venezuela: «Non è sicuro»
Caracas Oggi, nuova agenda di protesta dell’opposizione, in attesa della «presa del paese» fissata per il 14 settembre
Caracas Oggi, nuova agenda di protesta dell’opposizione, in attesa della «presa del paese» fissata per il 14 settembre
Droni, tastiere e democrazie. Un altro giro, un’altra corsa. Dopo il Brasile, adesso tocca al Venezuela. Oggi le destre riprendono la protesta per far cadere il governo di Nicolas Maduro. Un poderoso tam tam mediatico ha già indicato il campo “giusto” e quello da ostracizzare. Droni, tastiere e “democrazie”. Come nel gioco delle tre carte, chi punta non vince mai. L’obiettivo è già prestabilito e il gioco è sporco, mischiare le carte serve solo a mascherare la truffa. Il pubblico che ci casca, però, non manca, perché qualcuno, all’apparenza, vince: il compare della truffa, naturalmente. E poco importa se un rapporto ammetterà poi che le “armi di distruzione di massa” in Iraq non c’erano, o che Gheddafi non aveva compiuto nessun massacro. Poco importa se il pubblico turlupinato ammetterà che «era meglio prima».
Intanto, in un tripudio di lacrime, bambini e cagnolini, la soglia con ferocia si alza: un presidente intralcia i piani dei decisori? Il voto non conta. Vale per l’Honduras, per il Paraguay, per il Brasile, dove 54 voti dei corrotti hanno contato più di 54 milioni di elettori, dove la stessa legge servita per condannare (la “pedalata fiscale”) diventa legale per assolvere i golpisti, due giorni dopo. Vale per il Venezuela, adesso più che mai.
Perché è così difficile guardare la realtà in faccia e darne conto senza manicheismi e basandosi sui fatti? Perché non è più dato per inteso che la politica sia scontro di interessi e di progetti – conflitto di classe? Perché confondere le acque fa parte del gioco, e il piatto è ricco in un paese che custodisce le più grandi riserve di petrolio al mondo e che ha stoppato le manovre dei soliti manovratori: «Non avrei mai pensato che togliere dalla povertà qualche milione di persone avrebbe scatenato un simile attacco delle oligarchie», ha dichiarato di recente l’ex presidente brasiliano Lula da Silva…
L’obiettivo delle destre durante l’annunciata «presa di Caracas» del 1 settembre era evidentemente e prima di tutto mediatico. Il piano b della sovversione è rimasto latente per l’azione preventiva d’intelligence, che ha requisito quantitativi di armi e neutralizzato i gruppi di incappucciati in cerca di nuove «guarimbas» (43 morti e 850 feriti nel 2014). Per come vanno le cose in Europa, si sarebbe lodato l’esito pacifico delle due opposte marce, che hanno sfilato in due zone diverse della capitale: nei quartieri alti, l’opposizione, al centro di Caracas il chavismo. I primi, in bianco – per emulare gli anticastristi di Miami e perché il rosso gli dà l’orticaria -, i secondi con le consuete magliette rosse.
E invece no. Dagli Usa all’Europa, le tastiere embedded si sono messe all’opera: in più di un caso anche in modo grossolano. In Francia, vi sono stati titoli tipo «Imponente manifestazione contro Maduro», sotto la foto… della marcia chavista. Per celebrare «l’oceanica manifestazione» delle destre, nelle reti sociali sono circolate foto della visita del papa in Corea del Sud: finché qualcuno ha fatto notare che quelle non erano le vie di Caracas. Qualcun altro ha usato la logica e le cifre: si è parlato di un milione di persone, ma è impossibile in un viale di quelle proporzioni, anche volendole stipare, non ci stanno. I violenti presi con le mani nel sacco (delle armi)? Ovviamente, pacifici perseguitati da un «regime insopportabile» che deve cadere. L’acme si è raggiunto manipolando il video preparato di una battitura di pentole all’isola di Margarita come «la cacciata» del presidente. Il video vero è stato diffuso per intero, ma la nuova etichetta aveva già segnato un punto di pareggio al successo del chavismo con #malditaMud. E nessuno diffonderà le immagini della marea rossa che ieri ha accompagnato il presidente.
Tutti, anche in Italia, hanno assunto in pieno la consueta litania: un popolo disperato che protesta nelle strade contro un governo inetto e autoritario, che ha provocato una crisi umanitaria. Un’intera popolazione spera solo che qualcuno l’aiuti (il modello è noto). Intanto, il referendum revocatorio è già stato fissato. Come già avvenne per Chavez, vi sono però delle tappe democratiche. Ma questo, per le destre, è solo un dettaglio da cancellare. Perché l’insopportabile Maduro non accetta di farsi defenestrare? Tanto – questo è il mantra che gira – non lo vuole più nessuno. Ma perché, allora, se si è così sicuri di vincere non si rispettano le tappe del referendum e la seconda fase, fissata a partire dal 23 ottobre?
Su una popolazione di 36 milioni di abitanti, l’opposizione venezuelana ha ottenuto oltre 7 milioni di voti alle ultime parlamentari. Il Partito socialista unito del Venezuela, 4 milioni. Se i numeri valgono i progetti, di che ha paura l’opposizione? Evidentemente, bisogna battere il ferro finché è caldo. Oggi e poi il 14, per «la presa del Venezuela». Per indicare il clima, Macri ha sospeso tutti i voli dall’Argentina al Venezuela: «Dal 10 al 17 – ha detto – il paese non sarà sicuro».
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