«Tutte le decisioni editoriali, la programmazione e le narrative vengono dall’alto. Non scrivo nulla che vada contro la narrativa» ufficiale. A parlare è un giornalista dell’emittente pubblica ungherese M1, che ha contribuito in forma anonima al report reso pubblico ieri da Human Rights Watch: Non posso fare il mio lavoro di giornalista – la sistematica compromissione della libertà dei media in Ungheria.

REPORT che evidenzia la progressiva erosione della libertà di stampa nel paese europeo a partire dall’ascesa al potere di Viktor Orbàn nel 2010, quando immediatamente viene approvata una nuova legge sui media che rimpiazza tutti gli organismi di regolamentazione con la Media Authority, il cui presidente viene nominato dal primo ministro e resta in carica per nove anni -l’ultimo, sottolinea Hrw, è andato in prepensionamento poco prima delle elezioni del 2022 consentendo a Orbàn una nuova nomina valida fino al 2030. L’inchiesta dell’organizzazione per i diritti umani (a sua volta ostracizzata nella copertura giornalistica ungherese), oltre a elencare delle raccomandazioni sia per l’Ungheria che per l’Unione europea, evidenzia sei aree fondamentali per la libertà di stampa che vengono sistematicamente compromesse in Ungheria. Dal controllo esercitato dalla politica sui media – fino a imporre la terminologia da usare: «migranti» o «migranti illegali» e mai «rifugiati» durante la crisi del 2015 – alla sorveglianza. Sia una commissione d’inchiesta del Parlamento europeo che un’indagine di Amnesty International hanno documentato come Budapest abbia impiegato lo spyware Pegasus per sorvegliare dei giornalisti. «Ho perso delle fonti dopo l’incidente di Pegasus – ha detto a Hrw uno dei quattro reporter sul cui telefono Amnesty ha individuato lo spyware – Ora è più difficile lavorare perché le persone hanno paura di parlare. Un fenomeno che è cresciuto dopo Pegasus: incontrarmi adesso comporta dei rischi extra».

ALLA SORVEGLIANZA si aggiungono le campagne diffamatorie, se non peggio: l’organizzazione dettaglia degli attacchi ai siti indipendenti Atlatszo e Telex, accusati da “inchieste” di testate filogovernative di lavorare al soldo dei partiti di opposizione e di George Soros, di «mettere in pericolo le vite delle minoranze ungheresi nei paesi confinanti», e perfino di essere piattaforme per il riciclaggio di denaro. Nel 2015 è invece partita la campagna contro Zoltan Varga, il proprietario della più grande compagnia di media indipendenti ungheresi che rifiutava di vendere a entità vicine al governo. Il suo rifiuto di cedere nonostante le decine di storie che lo diffamavano sui media filogovernativi è culminato, nel 2022, in un’incriminazione per frode fiscale, ancora sotto indagine.
Inoltre, il lavoro dei giornalisti indipendenti è reso più difficile negando loro sistematicamente «l’accesso a fonti e informazioni»: i dati richiesti non vengono forniti, le risposte delle autorità non arrivano mai o sono insolitamente lente, l’accesso alle conferenze e altri eventi per i media vengono loro negati. «Le istituzioni Ue – si legge sul report di Human Rights Watch – dovrebbero esigere che l’Ungheria renda conto della propria interferenza nella libertà mediatica, parte del più vasto attacco in corso nel paese contro lo stato di diritto».