«Sonatrach in difficoltà, dall’Algeria arriverà la metà del gas promesso a Draghi»
L'inchiesta di "Algérie Part" Domanda asiatica e ombre russe sul patto stretto da Draghi, ma l''ente nazionale algerino e Eni smentiscono. Dubbi anche sui risultati delle visite in Angola, Congo e Mozambico: «campagna d’Africa» tutta da rivedere per l’Italia
L'inchiesta di "Algérie Part" Domanda asiatica e ombre russe sul patto stretto da Draghi, ma l''ente nazionale algerino e Eni smentiscono. Dubbi anche sui risultati delle visite in Angola, Congo e Mozambico: «campagna d’Africa» tutta da rivedere per l’Italia
L’Algeria potrebbe non riuscire a fornire tutto il gas promesso nel nuovo accordo stipulato con l’Italia. La notizia è apparsa in forma di indiscrezione su Algérie Part, una testata giornalistica investigativa algerina, che ha annunciato a tutta pagina le difficoltà dell’azienda nazionale Sonatrach nel rispettare gli accordi presi in aprile e concretizzati in luglio con tanto di visita ufficiale di Mario Draghi ad Algeri.
Viste le preoccupazioni suscitate dalla notizia, con l’inverno che si avvicina, prima Sonatrach e poi più convintamente Eni si sono affrettate a smentire, sostenendo che il gasdotto Transmed ha già aumentato i propri volumi di gas verso l’Italia. Ma secondo Algérie Part, da Algeri potranno arrivare soltanto ulteriori 4 miliardi di metri cubi, meno della metà dei 9 miliardi promessi negli accordi di questa estate.
I continui incontri ai massimi vertici di Sonatrach fotografano la fibrillazione del colosso energetico nordafricano, che dovrebbe evitare di liquefare parte della propria produzione di GLN destinata al mercato asiatico per soddisfare il fabbisogno italiano, ma sono tanti gli interessi in gioco.
Il primo resta il saldo legame fra Algeria e Russia che, dopo aver festeggiato 60 anni di amicizia, hanno inaugurato una nuova joint venture fra Sonatrach e Gazprom per la gestione di un nuovo giacimento. A questo si aggiungono proprio i mercati asiatici destinatari del GLN, ai quali Algeri non può assolutamente rinunciare, vista la crescente presa soprattutto cinese nel continente africano.
Una presa così forte, quella di Pechino, che potrebbe ridimensionare i risultati del viaggio ufficiale del ministro degli Esteri Luigi Di Maio in Angola, dove le cose funzionano in modo diverso. Luanda infatti ha solo gas associato all’estrazione petrolifera che una volta veniva utilizzato direttamente, mentre oggi viene inviato agli impianti di liquefazione. Ma il suo gas liquido, per un accordo a livello globale in vigore ormai da anni, viene venduto tramite gare d’appalto internazionali. Nessuna prelazione né accordo diretto quindi, il gas va al miglior offerente. Cioè ad acquirenti che vengono guarda caso tutti dall’Estremo Oriente. L’Italia dovrebbe quindi partecipare alle aste e soprattutto vincerle, offrendo di più.
Ancora peggio vanno le cose nella Repubblica del Congo, altra tappa di Di Maio in quella che era stata un po’ pomposamente definita come la «campagna d’Africa» del governo italiano. Brazzaville dispone di un solo grande giacimento, in parte ancora da esplorare con tempi tecnici che potrebbero arrivare anche a degli anni. Interessante notare, poi, che in questo consorzio congolese sia presente anche una società russa, memore forse del passato socialista di quella che una volta si chiamava Repubblica popolare del Congo.
Il Mozambico, infine, tappa questa volta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per le dimensioni dei suoi giacimenti può garantire in teoria ingenti forniture di gas, ma ha dovuto completamente interrompere la sua produzione per il caos che regna nel nord del Paese, dove si concentrano gli interessi dell’industria estrattiva globale, a causa degli attacchi da parte dei miliziani jihadisti. del governo italiano oggi sembra vacillare.
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