Buono, pulito e giusto: il programma di Slow Food che nel 2005 faceva da titolo al libro di Carlo Petrini, come si declina oggi di fronte alla «protesta dei trattori» europei? Come conciliare le richieste di una equa remunerazione del lavoro nei campi, in particolare per le piccole e medie realtà – faticoso anello debole di inique filiere – con l’urgenza della transizione verso un’agricoltura più sana per agricoltori, braccianti, consumatori, ecosistemi, clima, biodiversità?

NEL LORO J’ACCUSE I MANIFESTANTI, una formazione eterogenea, contestano vizi strutturali: gap fra costi e ricavi delle aziende spremute dai giganti della chimica, dell’agribusiness e dalla grande distribuzione organizzata, importazioni di cereali a basso costo dall’Ucraina, accordi di libero commercio e dumping, prezzi delle derrate determinati dalle borse merci, misure fiscali, peso della burocrazia, complicità delle organizzazioni agricole. Ma fra i colpevoli dei loro guai mettono anche le misure ambientali avanzate dall’Europa. E hanno già incassato a mo’ di concessione il ritiro, per ora, del regolamento Sur che puntava a ridurre del 50% i pesticidi entro il 2030, nell’ambito delle Strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030. Ma non ci sta chi lavora per un’altra agricoltura. E intanto la Lipu denuncia il dimezzamento degli uccelli nelle aree agricole italiane in 20 anni, chiedendo che non si torni indietro.

LA «GRAVE EMERGENZA CLIMATICA, fra siccità, alluvioni, temperature anomale rende quasi impossibile mantenere una produzione che resti in campo per 7-8 mesi», sottolinea Giuseppe Romano, presidente dell’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab). E Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio (Federazione italiana agricoltura biologica e biodinamica) precisa che davanti alle enormi difficoltà è urgente «cambiare modello di riferimento puntando alla sostenibilità ambientale assieme a quella economica e sociale. Questo significa supportare l’agricoltore nel cambiamento anche con sussidi».

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#CAMBIAMO AGRICOLTURA (una rete di 90 associazioni, ambientaliste, del biologico e dei consumatori), parla di un sistema alimentare ingiusto, «che penalizza chi produce e chi consuma. Capiamo e sosteniamo la richiesta degli agricoltori di vedere a loro riconosciuta una giusta remunerazione in una filiera oggi dominata dagli attori agroindustriali e della grande distribuzione. Diciamo però un netto no alla strumentalità con cui viene scaricato sul Green Deal europeo il disagio del mondo agricolo. Senza natura non c’è futuro per l’agricoltura».

COSA PRODURRE, QUANTO, COME: è in ballo il modello agroalimentare, vittima di se stesso, intensivo, con una importante componente mangimistica e zootecnica. Il cambiamento dipende anche dalle scelte dei consumatori.

MA IL DENARO DELLA «NUOVA» PAC aiuta il cambiamento? Non abbastanza, per Jann Plagge, presidente della Federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica (Ifoam): «Gli agricoltori che si impegnano nella transizione ecologica non sono adeguatamente remunerati né dal mercato né dalla Pac». Anche Aiab denuncia: «La Pac rappresenta il 30% del bilancio comunitario ma a beneficiarne sono le grandi aziende e non certo i piccoli produttori» (c’è una moria: un terzo di loro ha chiuso i battenti dal 2005 a livello europeo). E attenzione alle trappole, avverte Vincenzo Vizioli, presidente di Aiab Umbria: «Gli agricoltori hanno bisogno del giusto prezzo costruito sui costi di produzione, mentre il premio della Pac deve essere il riconoscimento del beneficio sociale, non un compenso al mancato reddito». C’è chi lancia una provocazione: chi produce cibo offre un servizio di prima necessità, perché allora non dare a coltivatori e braccianti (in agroecologia) le tutele del lavoro pubblico?

NEL «MANIFESTO PER LA TRANSIZIONE ecologica contro la crisi», il coordinamento europeo di La Vía Campesina avanza proposte precise per affrontare l’emergenza sociale ed ecologica: fra queste, prezzi giusti garantiti per i prodotti agricoli e redistribuzione dei sussidi pubblici per sostenere e accompagnare nel lungo periodo gli agricoltori impegnati nel cammino agroecologico. Per ora, la nuova Pac varata nel 2023, a dispetto dei suoi intenti green, «ha introdotto poche norme farraginose (i famosi ecoschemi)» denuncia Alfredo Fasola dell’azienda bio Torre Colombaia.

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E DAL CAMPO, UN GRUPPO DI AGRICOLTORI biologici umbri ha preso carta e penna. Occorrono aiuti, ricerca e formazione per «rivoluzionare il rapporto con la nostra terra, che dopo 50 anni di agricoltura industriale non produce quasi più se non pompata con dosi massicce (e oggi costosissime) di concimi chimici e di pesticidi», mentre bisogna puntare a «tecniche e produzioni con un ridotto impatto ambientale per un sistema più equo e più sano». Attenzione alla pratica universale delle lavorazioni profonde del terreno che oltre a non migliorare davvero la fertilità naturale necessitano di grandi trattori che divorano gasolio.

QUANTO ALLA FILIERA, proseguono, è fondamentale per i piccoli e medi produttori «vendere direttamente – ecco la vera Farm to Fork, dal campo alla tavola – senza burocrazia, senza guadagni di intermediari sulle spalle degli agricoltori e nelle tasche dei consumatori». E una richiesta pressante: «Da subito, programmare e finanziare, snellendo al massimo gli aspetti burocratici, piccoli e medi laghetti, invasi aziendali e interaziendali, per poter disporre nei periodi siccitosi dell’acqua immagazzinata quando piove, così da non ritrovarsi con tutte le colture in prevalenza primaverili ed estive rinsecchite e quindi perse».

INTANTO LA VIA CAMPESINA si prepara a contestare la 13ma Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), dal 26 al 29 febbraio ad Abu Dhabi. Il movimento si oppone a «tutti gli accordi di libero scambio che mettono a repentaglio l’equità, i prezzi giusti, la transizione all’agroecologia, le condizioni di lavoro, la difesa di acqua, terra e foreste».