La transizione ecologica sta subendo gravi battute d’arresto in tutti i settori, compreso quello agricolo. La guerra in Ucraina ha fatto da detonatore nel far saltare tutti i faticosi compromessi che erano stati raggiunti per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. L’agricoltura europea era chiamata a favorire l’affermazione di un modello di produzione e consumo più sostenibile attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra, il contenimento dell’uso di pesticidi, la tutela della biodiversità. Ora, di fronte alle proteste degli agricoltori europei, si assiste ad una repentina marcia indietro e il Green Deal è diventato il capro espiatorio.

I VENTI DI GUERRA, L’AUMENTO dei costi dell’energia, l’inflazione, gli effetti dei cambiamenti climatici stanno avendo un impatto senza precedenti sulle produzioni agricole europee. In una fase in cui l’aumento dei costi di produzione e il calo delle rese stanno facendo sprofondare in una crisi irreversibile molte attività agricole, le misure a tutela dell’ambiente sono state viste dagli agricoltori come un ulteriore elemento che andava a incidere sui loro redditi. Si è arrivati a teorizzare che gli obiettivi ambientali in campo agricolo non sono conciliabili con la logica produttiva del settore.

LA POLITICA AGRICOLA COMUNE (PAC) doveva essere lo strumento in grado di dare stabilità al settore agricolo all’interno di un modello di produzione sostenibile. La Pac è finanziata da due fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia, che fornisce sostegno diretto agli agricoltori e attua misure di regolamento dei mercati, e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, che finanzia le comunità rurali attraverso misure che favoriscono la gestione sostenibile e la competitività. Le scelte che sono state operate hanno prodotto una accentuazione delle sperequazioni tra le regioni agricole più sviluppate e quelle meno sviluppate e un aumento del divario tra le aziende a conduzione capitalistica e le piccole aziende.

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NON POTEVA ESSERE DIVERSAMENTE, visto che l’80% dei sussidi va al 20% delle aziende agricole, utilizzando come criterio di ripartizione la dimensione. Una modalità iniqua che concede ben poco a chi coltiva pochi ettari o alleva pochi capi. Di fatto si è favorita la concentrazione delle terre, una industrializzazione spinta dei sistemi agricoli e produzioni di grande scala. Gli agricoltori e gli allevatori che attualmente protestano sono quelli che fanno più fatica e che ricevono le briciole dei sussidi erogati dalla Ue. Gli agricoltori chiedono una revisione delle regole per accedere ai fondi stanziati dalla Pac e invocano l’attuazione di una politica agricola in grado di far uscire il settore agricolo dalla crisi in cui versa.

IL MALCONTENTO NEI CONFRONTI delle scelte comunitarie si somma con le rivendicazioni nei confronti dei governi nazionali, tutti accusati di non sostenere adeguatamente il settore agricolo. Sono anche gli accordi di filiera a penalizzare i produttori agricoli che devono spesso accettare prezzi che sono inferiori ai costi di produzione. Una filiera in cui produttore e consumatore sono gli anelli più deboli, mentre sono l’industria alimentare, i grossisti e la grande distribuzione a comandare il gioco. Il litro di latte che troviamo al supermercato a più di 2 euro, alla stalla viene pagato meno di 50 centesimi. I prodotti ortofrutticoli aumentano di 4-5 volte dal campo alla tavola.

LA RICHIESTA PIU’ DECISA DA PARTE degli agricoltori francesi in queste settimane è il varo di una legge che vieti l’acquisto di prodotti agricoli a prezzi inferiori al costo di produzione. I gruppi agroindustriali, che hanno tratto i maggiori benefici dalle scelte finora operate, sono stati in grado di condizionare il Parlamento europeo e i governi nazionali. Il fatto che la legislatura europea si chiuda senza un accordo sui pesticidi è sicuramente l’aspetto più grave, per le conseguenze che avrà su salute e ambiente e perché intorno al piano di riduzione dei pesticidi si poteva intraprendere un percorso per una agricoltura più sostenibile.

DI FRONTE ALLE PRIME PROTESTE e con le elezioni europee alle porte, tutto è stato rimesso in discussione. Invocando la «necessità di mettere da parte le impostazioni ideologiche», il Parlamento europeo respingeva nel novembre scorso il piano di contenimento dei pesticidi con 299 no, 207 voti favorevoli e 121 astenuti, che prevedeva il dimezzamento del loro impiego entro il 2030. Il piano non si limitava a indicare la misura della riduzione, ma promuoveva l’introduzione di metodi non chimici per il controllo dei parassiti e di pratiche ecocompatibili per la riduzione delle erbe infestanti. Sull’onda della decisione del Parlamento, a dicembre arrivava la decisione della Commissione europea di prolungare per altri 10 anni l’autorizzazione all’impiego del glifosato.

LA RIDUZIONE DEI PESTICIDI E LA TUTELA della biodiversità rappresentavano i due obiettivi fondamentali intorno a cui costruire una nuova politica agricola comune. Il ritiro della proposta legislativa sui pesticidi, annunciato dalla presidente della Commissione europea, rappresenta un colpo grave al Green Deal, il Patto Verde varato nel 2019, che rappresenta il più importante progetto per rendere più sostenibile l’agricoltura, cercando di conciliare produzioni agricole e tutela dell’ambiente. Ma nel Green Deal sono presenti anche le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici per affrontare gli eventi climatici avversi e ridurre il grave impatto che hanno sulle produzioni agricole. Misure come la rotazione delle colture, il riposo di una parte dei terreni coltivati a seminativo, che si è cercato di introdurre e che ora vengono messe in discussione, hanno rappresentato per secoli pratiche agricole in grado di tutelare la biodiversità e conservare la fertilità dei suoli.

SULLA SPINTA DEI GRUPPI AGROINDUSTRIALI si punta, invece, a favorire una agricoltura sempre più dipendente da chi controlla semi, pesticidi e fertilizzanti. Il 6 febbraio il Parlamento europeo, dopo aver affossato il piano sui pesticidi, ha dato il via libera ai nuovi Ogm. Con 307 voti favorevoli, 263 contrari e 41 astenuti sono state approvate le nuove norme sulle Ngt (Nuove tecniche genomiche), in Italia note come Tea (Tecniche di evoluzione assistita), che consentono di impiegare tecniche che producono mutazioni nel materiale genetico di un organismo vegetale. Si tratta di nuovi organismi che potranno essere coltivati senza essere sottoposti ai controlli di sicurezza previsti per gli Ogm tradizionali e che non avranno bisogno di alcuna etichettatura. Il tutto in nome della «sicurezza alimentare dell’Europa e per dare agli agricoltori gli strumenti necessari per la transizione verde».