Le elezioni catalane sono state convocate per trovare una soluzione, ma l’unica certezza del risultato è che il problema continua ad essere lo stesso. Dalle urne esce una divisione in due blocchi, più o meno con forze equivalenti.

Anche se la legge elettorale trucca il risultato e consegna alle forze indipendentiste una maggioranza assoluta di seggi, pur avendo raccolto gli stessi voti degli altri. La realtà è che oltre due milioni di votanti appoggiano la secessione dalla Spagna e più o meno la stessa cifra vi si oppone. La crisi catalana è avvitata su se stessa, prigioniera di due estremi che non sembrano cercare un dialogo fra loro, ma aspettano uno la resa dell’altro.

UN PAREGGIO politico che certo non si può risolvere né con la Guardia Civil, né con il codice penale, una giudizializzazione della vita sociale e politica che ormai sta diventando una pericolosa tendenza in tutta Europa.

Che sia una situazione di stallo lo chiarisce ancora meglio il mediocre risultato raccolto da Catalunya en Comú-Podem, la lista con Podemos. È fallito sia il suo tentativo di incidere nel blocco sociale indipendentista, proponendo un referendum concordato e la plurinazionalità come asse di una riforma del vecchio patto costituzionale del dopo Franco, sia quello di contendere voti alle forze del nazionalismo spagnolo, portando al centro dello scontro elettorale la crisi sociale e ambientale.

Chi era favorevole da anni alla secessione non ha cambiato idea e la grande affluenza alle urne ha portato a votare gran parte dei ceti popolari più colpiti dalla crisi, che hanno però considerato più utile rafforzare il fronte anti secessione e dare fiducia non al Pp di Rajoy, ma a Ciudadanos. Un partito che presidia la cura liberista della crisi e la Costituzione così com’è, con il suo compromesso con la monarchia e il suo centralismo territoriale. Continuando per la strada dei partiti tradizionali spagnoli che non smettono di guardare la Catalogna con un po’ di disprezzo, come un territorio e un popolo alieno.

IN CRISI DI UNITÀ e forza è più la sinistra della destra e ripetere le elezioni solo in Catalogna non sarebbe una soluzione. Il nodo catalano per essere sciolto davvero deve integrarsi in una prospettiva spagnola, senza trascurare lo sfondo europeo. Vale a dire imponendo un’iniziativa costituente che seppellisca la costituzione del ’78 per promuoverne una che trasformi la Spagna in una repubblica, a cui liberamente possano aderire i vari territori. Che elevi a norma costituzionale la lotta contro le disuguaglianze, a partire da quelle dei generi e quelle ecologiche, in modo da offrire un’immagine convincente e desiderata di una Spagna migliore che susciti, non solo in Catalogna, la voglia e non l’obbligo o la necessità di appartenenza.

QUESTA PROSPETTIVA ha senso se prende corpo rapidamente una alternativa alle destre nell’intera Spagna. La sconfitta dell’alleanza Unidos-Podemos in Catalogna invece complica le cose, Catalunya en Comú-Podem non ha raggiunto un risultato per essere determinante in un governo.

Per riprendere l’assalto al cielo dell’inizio e fare di Podemos e delle sue possibili coalizioni i più votati in eventuali elezioni politiche, serve andare a fondo sulle cause dell’insuccesso. Non basta a spiegarlo l’ennesima piroetta socialista, che ha sicuramente tolto credibilità alla possibilità reale di riuscire a imporre un referendum concordato e ancor di più alla possibilità di una riforma costituzionale. Né lo spiegano le divisioni, non solo quelle catalane, che dilaniano Podemos. Forse ora bisognerebbe interrogarsi se nella società spagnola sia ancora forte o si sia del tutto attenuata quella spinta al cambiamento, quel bisogno di giustizia sociale e ambientale, quel bisogno di diritti proveniente dal movimento del 15M. Rimettere in moto quella indignazione sociale sembrava essere il principale obiettivo del congresso di Podemos del febbraio scorso, ben oltre le dispute tra i leader carismatici. Questo voto catalano dice che non ci si è riusciti. Proprio ora che il governo di Rajoy varerà una finanziaria che ridurrà per il terzo anno consecutivo gli investimenti per la sanità, l’istruzione, i servizi sociali, le pensioni e le politiche per il lavoro. Dopo aver già quasi annullato i finanziamenti per il tanto decantato Patto di Stato contro la violenza maschile sulle donne.

CON O SENZA la Catalogna la Spagna resterà il secondo paese d’Europa per disoccupazione e il primo per corruzione. In sostanza, aggiungendo il degrado ambientale e la questione climatica, sembrerebbero esserci tutti gli ingredienti per una esplosiva crisi sociale che però stenta a definirsi, a risvegliare quella sovversione e quella indignazione che nel 2011 scosse alla fondamenta gli equilibri del sistema politico e il suo soffocante bipartitismo.