Fabrizio Solari, segretario generale Slc Cgil, il governo Meloni, spinto dal ministro Giorgetti, ha deciso di far cassa dismettendo tutto il possibile. Privatizzare è la nuova parola d’ordine della politica economica.
Il governo Meloni in questo modo ha deciso che l’Italia rinuncia ad aver in futuro. La nuova fase geopolitica in cui si torna indietro dalla globalizzazione e la nuova religione, peraltro segnalata dalle guerre, prevede aree di interesse e filiere corte. In questo quadro, per affrontare le tre rivoluzioni – energetica, ambientale, tecnologica – servono investimenti forti e un governo che li guidi. L’Europa è in difficoltà ma l’Italia è proprio alla canna del gas. Tutti gli indici ci danno in dismissione e il sintomo più evidente del mancato futuro del nostro paese sono le centinaia di migliaia di giovani che se ne vanno. In più noi scontiamo un fatto storico: l’Italia è fatta di piccole aziende e le pochissime grandi aziende sono quelle a partecipazione statale. E sono le uniche a poter gestire queste rivoluzioni. Invece le privatizziamo come abbiamo fatto con il trasposto aereo, diventando un mercato per gli altri.

Il segretario generale della Slc Cgil Fabrizio Solari

La logica del montante ritorno dell’austerità, legato al nuovo Patto di stabilità europeo, porta Giorgetti ad avere comunque l’esigenza di far quadrare i conti.
E i conti non tornano. Qui siamo a chi si vende la gallina rinunciando all’uovo che ci fa tutte le mattine. Il piano di Giorgetti è che i proventi delle privatizzazioni vadano tutti per abbattere il debito. Ma sono 20 miliardi su 2.895 miliardi: un’inezia anche sommando qualche centinaio di euro di minori interessi. Ma il caso di Poste fa saltare tutta la logica. Per cedere 4 miliardi di azioni si sta rinunciando a un miliardo di dividendo l’anno – la trimestrale è di 500 milioni con un controvalore di oltre 300 milioni per lo stato – è una follia. Come può sembrare sensato a qualcuno me lo deve spiegare perché così si aggrava il deficit.

E quindi quale motivazione può avere un’idea tanto peregrina dal punto di vista dei conti?
A pensar male, diceva Andreotti, spesso ci si azzecca. L’unica motivazione è l’idea che si debbano accarezzare i poteri forti. È evidente che con queste privatizzazioni il governo Meloni fa un favore a i fondi di investimento internazionali. Stai dicendo ai fondi: “Compratevi l’Italia, noi ve la vendiamo”.

Sarà un caso ma quasi tutte le privatizzazioni sono nel vostro settore e tutto è iniziato con lo spezzatino operato su Tim.
Sì, a parte il fatto che Tim non fa utili, è partito tutto da lì. Come dice finalmente anche Draghi – a cui diamo il benvenuto nel club di chi ha sempre contestato la deriva mercantile del settore comunicazioni – l’Europa ha sbagliato e non ha player globali. Ma ora noi italiani non possiamo più esserci: solo Germania e Francia hanno mantenuto un’azienda di sistema ex monopolista, invece noi abbiamo fatto lo spezzatino e non siamo più della partita.

Poste ha 130mila lavoratori e perfino la Cisl è contro la privatizzazione.
è la prima azienda italiana per occupazione e raccoglie la gran parte dei risparmi degli italiani sul territorio con l’accordo con Cdp. Ha 14 mila uffici che nelle aree interne del paese sono l’unico presidio dello stato. Se arriva la logica dei fondi di investimento, si tagliano subito gli uffici e addio all’ultimo brandello di unità di questo paese.

Eni però è il gioiello di famiglia. Si dice che De Scalzi è più potente di un ministro.
Sì, però oggi Eni è largamente in mano al mercato. Quando scendi invece al 35%, come anche in Enel, mantieni il controllo ma non puoi usare per fare politica industriale. Con la guerra in Ucraina, Macron ha rinazionalizzato Edf e ha imposto il prezzo politico dell’energia elettrica. Anche questo noi non lo potremo più fare. Non so cosa pensi De Scalzi, ma quando abbiamo chiesto all’ad di Poste Del Fante cosa pensasse della privatizzazione, lui ha risposto che chi decide è il padrone e quindi il governo.

E del Giorgetti tecnocrate cosa pensa?
È la controfigura sbiadita di Draghi ma Draghi è più libero. Risponde a quell’ambiente ma la differenza è che sia sulla Bce che sulle Tlc Draghi dice cose non scontate e che non vanno benissimo al mercato.