Il vento conservatore che spira sull’Europa arriva anche dai Carpazi, dove però almeno, in maniera piuttosto rocambolesca, i socialdemocratici restano nell’élite politica del paese. Ma è una consolazione magra per i progressisti europei. Il Psd rumeno può sì considerarsi vincitore delle europarlamentari, ma solo come conseguenza dell’alleanza tanto bizzarra quanto originale con il partito liberale.

In Romania i due principali partiti politici stanno insieme (anche al governo dopo la crisi nel centrodestra del settembre 2021) per spartirsi il potere col beneplacito del presidente (anch’egli liberale) Klaus Iohannis, il quale ha appoggiato l’ibrida coalizione anche per Bruxelles nel nome di una stabilità politica che, altrimenti, sarebbe oggettivamente mancata, come da esempio nella vicina Bulgaria. E allora il popolo rumeno, che con il suo 52.38% di affluenza si è confermato il più attratto dal sentimento europeo nell’ex cortina di ferro, è costretto a fare buon viso a cattivo gioco.

Il risultato è lapalissiano: la Coalizione Nazionale (questo il nome ufficiale dell’Alleanza socialdemocratica-liberale) ha stravinto le elezioni conquistando oltre 4 milioni di voti che in totale fanno il 50%, staccando di oltre 35 punti percentuali l’Aur (Alleanza per l’Unione della Romania, al 15%, la stragrande maggioranza dei quali venuti dai rumeni della diaspora), partito ultranazionalista, euroscettico, sovranista e populista nato nel dicembre del 2019 e alla sua prima partecipazione alle europarlamentari, dopo essere riuscito con grande sorpresa di tutti nel 2020 a entrare nel Parlamento rumeno.

E le altre forze progressiste e di centro-sinistra? In Romania, in pratica, non ce ne sono. Il panorama politico è tutto bilanciato a destra e il Psd, che per anni ha dominato la scena politica prima di essere travolto dagli scandali di corruzione, è riuscito a sopravvivere solo grazie all’aiuto offerto dal suo principale antagonista: il partito liberale, appunto, che gli ha teso la mano. I due partiti insieme hanno preso 21 dei 33 posti disponibili a Bruxelles. Sei sono andati all’Aur, 3 all’Alleanza Destra Unita, due all’Udmr, il partito che rappresenta la minoranza magiara in Romania, e 1 agli Indipendenti.

Anche le elezioni locali hanno confermato la strapotere dei due principali partiti che si sono presentati sostanzialmente ognuno con i propri candidati, avvicendandosi sia nei piccoli che nei grandi centri, ma pagando dazio a Bucarest. Nella capitale, infatti, Nicusor Dan che è il fondatore di quello che può paragonarsi al Movimento 5 stelle italiano, cioè l’Usr (Unione Salvati Romania) poi uscito dal partito e candidatosi come indipendente, ha letteralmente stracciato la rivale socialdemocratica anche lei ex sindaca) Gabriela Firea, guadagnando il secondo mandato consecutivo. Con il suo 47.86% (punto più punto meno visto che al momento in cui scriviamo non sono stati ancora scrutinati tutti i seggi, come per le europee del resto) Dan ha preso più voti di Firea e Piedone (l’altro candidato ‘forte’ in seno al Pusl, partito social-liberale) messi insieme.

Il 2024 politicamente non finisce qui. L’8 dicembre i rumeni torneranno di nuovo alle urne sia per le elezioni parlamentari che per quelle presidenziali. Non c’è ancora alcuna dichiarazione ufficiale circa la posizione che adotteranno Liberali e Socialdemocratici, ma è difficile ipotizzare uno scenario diverso: molto probabilmente, saranno ancora insieme per mantenere l’ampio vantaggio sulla concorrenza e amministrare a turno il potere come hanno fin qui fatto, alternando i premier a capo del governo. L’unica cosa certa è che non ci sarà più il presidente Klaus Iohannis, che terminerà il suo secondo mandato e che ha già dichiarato di volersi candidare alla presidenza della Nato.