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Smeriglio: «Gli equilibri europei dipendono dalla Spagna»

Smeriglio: «Gli equilibri europei dipendono dalla Spagna»Pedro Sánchez – foto Ap

Spagna Intervista all'eurodeputato indipendente del gruppo dei Socialisti e Democratici del parlamento europeo sulla formazione del nuovo governo: «Il Psoe deve fare un grande sforzo per ripensare il suo approccio rispetto all’indipendentismo»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 24 settembre 2023

La sinistra in Europa guarda alla formazione del nuovo governo spagnolo con molta apprensione ma tifando Pedro Sánchez. Lo riassume così l’eurodeputato Massimo Smeriglio, indipendente del gruppo dei Socialisti e Democratici del parlamento europeo, presieduto dalla socialista spagnola Iratxe García Pérez.

Come mai la Spagna è così importante per la sinistra?

Gli equilibri europei dipendono dalla Spagna. Se Sánchez non ce la fa e si torna a votare a gennaio, c’è il rischio concreto che si imponga il Pp. E questa sarebbe una pessima notizia. L’esecutivo di coalizione fra socialisti e Sumar è stato un punto di svolta concreto per le politiche europee. È un governo che non è stato ostaggio dei dikatat neoliberisti, che ha provato a ridistribuire la ricchezza, che ha fatto politiche a favore dei lavoratori e soprattutto ha dimostrato che si può fare, che si può contendere il consenso alla destra.

In che senso gli equilibri europei dipendono dalla Spagna?

Perché si va verso le elezioni europee, e nel parlamento si misureranno le forze di destra e sinistra. In Olanda si vota fra poco, e le elezioni le vincerà il partito popolare olandese e una formazione populista degli agricoltori; nelle elezioni polacche sfortunatamente non vinceranno le forze progressiste. La Spagna è un paese grande e importante: se Feijoó siede nel Consiglio d’Europa assieme a Vox il peso della destra sarà schiacciante.

Questo è il semestre di presidenza spagnola del Consiglio della Ue.

La Spagna ha portato un’ondata di novità. Una rinnovata attenzione al pilastro sociale, alle politiche del welfare, un’attenzione verso il salario minimo. Ha anche spostato l’asse geopolitico, rafforzando gli scambi con l’America Latina, con il brasiliano Lula, il messicano López Obrador e in generale con l’onda progressista.

E sul femminismo?

Su questo tema, sono fra i più bravi. Grazie a persone come Yolanda Díaz o l’eurodeputata Eugenia Rodríguez Palop e a Sumar in generale hanno lavorato non su un femminismo astratto, ma calato nelle contraddizioni concrete dei rapporti di forza nel mondo del lavoro, nelle dinamiche familiare. Una esperienza da applaudire e copiare.

E come vede che Díaz abbia deciso di lasciare fuori la ministra che più incarnava queste politiche femministe, Irene Montero di Podemos?

Penso che Diaz ha fatto il miracolo di riuscire a confederare mondi diversi, da Izquierda Unida, ai comunisti, a Podemos, a realtà municipali e territoriali. È normale che ci siano frizioni e scelte che io non posso giudicare. Credo sia un bene che alla fine del negoziato si sia costruita una coalizione unica. Il rischio di spaccatura c’era, e i nostri amici spagnoli ci hanno ancora una volta dato una lezione, tutti, per preservare la proposta unitaria.

Che idea si è fatto delle negoziazioni fra socialisti, Puigdemont e Sumar per formare il governo?

Annuso che c’è una volontà comune di trovare un accordo. Percepisco un lieve ottimismo, e molte difficoltà. Il Psoe deve fare un grande sforzo per ripensare il suo approccio rispetto all’indipendentismo. Ma si stanno facendo passi in avanti. Basti pensare alla nuova presidente del Congresso e al riconoscimento delle lingue votato proprio oggi. Gli esponenti della vecchia guardia socialista stanno criticando Sánchez, ma lui sta dimostrando coraggio e determinazione.

I giornali spagnoli dicono che dietro le quinte ci sono contatti discreti fra fedelissimi di Puigdemont e gente vicina a Sánchez, ma senza Sumar.

A me risulta che non ci siano contatti diretti e che Sumar stia facendo un ruolo prezioso di intermediazione. Il tema aperto è quello dell’amnistia, che gli indipendentisti vorrebbero chiudere prima dell’avvio dei negoziati ufficiali, dopo il fallimento di Feijoó (la cui sessione di investitura sarà la settimana prossima). Su questo le posizioni sono distanti. La destra e una parte della stampa faranno una campagna violenta in difesa della “sacra unità della nazione”. È una fase di fibrillazione. Ma l’ottimismo c’è.

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