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Slow Food in Cina. Un congresso storico

Slow Food in Cina. Un congresso storicoIl tavolo della presidenza del congresso

Il congresso è, nella vita di un movimento, sempre un passaggio significativo e importante. Si tratta di tracciare le prospettive di azione e di pensiero per gli anni a seguire, […]

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 3 novembre 2017

Il congresso è, nella vita di un movimento, sempre un passaggio significativo e importante. Si tratta di tracciare le prospettive di azione e di pensiero per gli anni a seguire, di valutare il percorso fatto e di ripensare priorità, linee di indirizzo, strumenti e metodi.

Quello di Slow Food a Chengdu è stato certamente un congresso di svolta sia dal punto di vista organizzativo che contenutistico, anche perché è avvenuto in un momento storico di particolare importanza dal punto di vista del cibo.

Negli ultimi quindici anni la situazione del sistema alimentare globale si è modificata ed evoluta a ritmi impressionanti e inimmaginabili.

Da una parte abbiamo assistito a una progressiva concentrazione del potere di filiera nelle mani di pochi, con un inarrestabile aumento di oligopoli e grandi gruppi che controllano enormi fette di mercato con una forza contrattuale e un potere di influenza assolutamente sconosciuto in passato.

Dall’altra è emerso con ulteriore chiarezza e inconfutabilità un fenomeno destinato a incidere drammaticamente sullo scenario della produzione del cibo su scala globale: il cambiamento climatico. Desertificazione, aumento delle temperature medie, estremizzazione dei fenomeni atmosferici e modificazione dei cicli stagionali stanno infatti già oggi stravolgendo il modo in cui viene prodotto cibo in alcune aree del mondo, obbligando a spostare colture più a nord o più in alto, costringendo ad abbandonare aree di produzione storiche per concentrarsi in città. È chiaro dunque che gli effetti fisici portano con sé gravi conseguenze sociali e culturali.

Partendo da questo quadro globale, la scelta di svolgere il settimo congresso internazionale di Slow Food in Cina è apparsa quasi inevitabile: proprio là, infatti, si giocherà tanta parte della partita del futuro dell’alimentazione mondiale e proprio là è necessario costruire le basi per un nuovo modello produttivo che sia sostenibile ed equo per tutti.

Tornare a un rapporto equilibrato tra uomo e natura, limitare il depauperamento dei suoli agricoli, rallentare o frenare l’inurbamento selvaggio, ripopolare le campagne garantendo un reddito giusto ai contadini, garantire sicurezza alimentare e salute, rispristinare un ambiente altamente compromesso sono dunque sfide che interessano tutti noi ma che in Cina vedono un terreno di scontro inevitabile e urgente.

Questo è il contesto in cui si è svolto l’appuntamento di Chengdu, nel quale Slow Food ha riaffermato tre linee di azione per i prossimi anni: difesa della diversità in tutte le sue forme, impegno nell’avviare e supportare processi e buone pratiche che vadano nella direzione della democratizzazione della filiera alimentare e infine forte accento sulla centralità della questione educativa.

Quando parliamo di tutela della diversità, ovviamente includiamo in primo luogo la diversità biologica che è minacciata da questo sistema produttivo. Varietà vegetali e razze animali che rischiano di scomparire perché non funzionali al mercato. Non possiamo e non vogliamo tuttavia fermarci a questo aspetto, perché cibo significa anche diversità culturale e sociale, perché dietro ogni produzione esiste l’adattamento dell’uomo a un territorio, esiste la maniera in cui le comunità si sono organizzare, come hanno ritualizzato i momenti comuni, come hanno costruito le proprie identità. Slow Food deve essere in prima fila per difendere tutta la diversità, per valorizzarla ed esaltarla, dentro e fuori dal movimento. In questo senso il progetto dell’Arca del Gusto (cui è stata dedicata una delle sei mozioni approvate) continuerà a giocare un ruolo decisivo, ma non sarà l’unico.

L’apertura alla diversità è l’unica cifra possibile per un movimento che a livello globale voglia fare politica attraverso il cibo.

Riaffermare il ruolo che Slow Food può ricoprire nella redistribuzione della ricchezza all’interno della filiera alimentare significa invece implementare e promuovere buone pratiche che consentano di invertire la rotta della concentrazione. Da questo punto di vista molto è già stato fatto (non certo solo da Slow Food) ma la rivoluzione completa è ancora lontana.

Ecco allora che i mercati contadini (che consentono ai produttori di bypassare i distributori e dunque di strappare prezzi migliori senza pesare sulle tasche dei cittadini), le comunità di supporto all’agricoltura (gruppi che si impegnano a comprare i prodotti dai contadini di piccola scala in anticipo in modo da non farli ricorrere alle banche), gli orti urbani individuali o collettivi, la produzione di prossimità sono esempi viventi che qualcosa sta cambiando. Noi dobbiamo essere megafono e promotore di questo processo perché da qui passa il futuro del nostro cibo.

Infine, per toccare l’ultimo punto, educazione e informazione hanno un peso enorme nella costruzione del cambiamento. L’educazione è fondamentale perché garantisce la memoria e la continuità. Oggi il cordone ombelicale che consentiva la trasmissione dei saperi tra generazioni e che per secoli ha tenuto insieme le comunità si è progressivamente reciso e va ricostruito, pena la perdita di un enorme patrimonio di savoir-faire. E poi informazione e conoscenza, perché senza informazione non esistono scelte consapevoli, in sostanza non esiste scelta.

Non solo, perché oggi viviamo un’epoca in cui è cruciale lavorare per il superamento dell’abisso che esiste tra scienza ufficiale e saperi tradizionali. Come Slow Food vogliamo arrivare alla prossima edizione di Terra Madre, nel 2018, a convocare, insieme alle comunità del cibo di tutto il mondo, centinaia di università da tutti i continenti proprio per cercare un terreno comune di discussione, di scambio e di operatività per superare questa dicotomia.

Questi slanci politici hanno bisogno di una struttura adeguata a raccogliere la sfida. Dobbiamo allora puntare fortemente su un approccio inclusivo e fluido, superando forme burocratizzate e rigide per arrivare a dare vero e definitivo compimento la dimensione forte di rete che ha distinto l’operato di Terra Madre fin dalla sua nascita e che nei fatti ha già rivoluzionato il nostro movimento.

Questa parte dedicata al nostro cambiamento di pelle interno ha visto protagonisti i giovani, che nei fatti la praticano già e che per un movimento di natura mondiale è l’unica strada. Lacci e laccioli rappresentati da regolamenti e regole non sono funzionali rispetto a una rete che deve intercettare la complessità del mondo.

Ecco, la parola d’ordine è proprio qui: la complessità del mondo, che non si può controllare né respingere, solo abbracciare e accogliere. Slow Food è pronto più che mai a mettersi in gioco.

* presidente di Slow Food Internazionale

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