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Salvini contro le Ong: «Ostacolano i soccorsi. Italia sotto attacco»Sabato si sono riuniti all’Ex opg Je so’ pazzo di Napoli, erano più di 500, per discutere di Cutro e del decreto varato dal governo subito dopo (in via di conversione): «Abbiamo visto morire tanti come noi: 91 persone, tra adulti e bambini, per la scelta di non intervenire. E poi abbiamo visto sfruttare la tragedia per una nuova svolta securitaria e disumana sulla nostra pelle». Il Movimento Migranti e Rifugiati e le comunità del territorio hanno deciso di allargare la rete e, da Nord a Sud, organizzare per il 28 aprile un sit in a Roma. Il 6 aprile assemblea nazionale in modalità mista (in presenza e on line) per organizzarsi.

La Lega, in particolare, voleva la cancellazione della protezione speciale, nel testo è passato «solo» il suo ridimensionamento con l’eliminazione del divieto di espulsione in rapporto al radicamento del cittadino migrante sul territorio. E poi la possibilità di rinnovarlo per una sola volta e per un anno, poi il titolare dovrà necessariamente convertirlo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. In base ai dati del Consiglio italiano per i Rifugiati, nel 2022 le domande di richiedenti asilo in Commissione territoriale sono state circa 52.600: il 53,5% si sono tradotte in dinieghi, il 12% nel riconoscimento dello status di rifugiato, il 13,2%, nella protezione sussidiaria; il 21,2% nella protezione speciale (11.151 in totale).

Cosa produrrà il decreto Cutro? «È un generatore di irregolari – spiega il Movimento Migranti e Rifugiati -. Si rende sempre più difficile accedere ai documenti anche a chi lavora in Italia da anni. A questo si aggiunge la lista di paesi considerati ‘sicuri’, che sbarra la via alla protezione speciale». L’elenco è stato aggiornato il 17 marzo: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia (da cui i migranti stanno scappando dopo le prese di posizione del presidente Kais Saied contro i subsahariani) e persino la Nigeria.

«Il risultato – proseguono gli attivisti – è un esercito di ricattabili e sfruttabili che vivranno nell’invisibilità, dovranno sottostare a condizioni come lavoro in nero, niente contratto di affitto, difficoltà a ottenere le cure sanitarie. I bambini avranno problemi a scuola, problemi ad accedere alle misure di welfare. Infine, se le famiglie finiscono nell’indigenza, se non riescono ad avere la residenza, potrebbero perdere i figli, allontanati dai servizi sociali. Gli irregolari si infortunano di più, muoiono di più, non hanno rappresentanza politica perché non possono votare eppure sono carne da campagna elettorale».

Le assemblee hanno lo scopo di ragionare su una serie di istanze fondamentali: «Vogliamo porre al centro della discussione il migrante come soggetto politico – proseguono -. Basta essere sempre descritti, oggetto di discussione nei talk show, materiale di ricerca per l’accademia, criminalizzati, additati come la minaccia al mondo lavoro quando, invece, la nostra irregolarità è un attacco al costo del lavoro: il sistema nega i documenti e produce clandestinità per rendere i migranti disposti ad accettare qualsiasi condizione pur di avere un pezzo di carta, come avviene in agricoltura e nelle fabbriche. Insieme alla campagna contro il Reddito di cittadinanza, è un’offensiva feroce contro il salario».

Il tentativo è mettere insieme comunità, associazioni, sindacati: «Da questa emergenza – concludono – vogliamo partire per rivendicare quello che spetta alle classi popolari. Anche se ci vogliono dividere abbiamo tutti gli stessi problemi: casa, salario, lavoro, servizi sociali, trasporti, scuola e sanità». In piazza andranno per dire: basta accordi con Libia, Turchia, Tunisia, basta guerra alle Ong; vie di accesso in Europa legali; stop alle armi. E poi fondi per integrazione e formazione («oggi, invece, i soldi per l’accoglienza vanno ad aziende e coop italiane»); estensione del Rdc, regolarizzazione dei braccianti, dei facchini, dei rider, degli operai e di tutte le lavoratrici e lavoratori immigrati. Infine, controlli più rigorosi nelle aziende per impedire caporalato e sfruttamento.