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Sinistra, ripartire cambiando strada

Sinistra, ripartire cambiando strada

DOPO IL FALLIMENTO DEL TAVOLO Elezioni e referendum possono dare linfa vitale al nuovo soggetto. Ma serve il coraggio che finora è mancato

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 16 dicembre 2015

Per quanto brusca e ingloriosa, la fine del tavolo che discuteva dell’inizio di un processo costituente un nuovo soggetto politico della sinistra, merita qualche considerazione. Se non altro per capire se quel progetto è realistico e da dove ripartire, poiché rimettere insieme le gambe del tavolo è impossibile.

Si era partiti dalla semplice convinzione che non si potesse predicare una unità più ampia se in primo luogo le forze che avevano dato vita al risicato successo elettorale della lista dell’altra Europa per Tsipras non avessero esse stesse dato il via a un processo di unificazione e ricomposizione, superando le passate divisioni e scissioni. Un processo, non un atto singolo. Naturalmente un processo costituente è impegnativo perché chiama le forze che vi partecipano a raggiungere un obiettivo e a seguire una condivisa road map. Il suo fallimento non permette di riannodare il filo sulla bobina di partenza come se nulla fosse stato. Allo stesso tempo la delineazione di un percorso non prevede che tutti i nodi siano sciolti in anticipo, ma lungo il cammino. Come era scritto nel breve documento «Noi ci siamo, lanciamo la sfida», condiviso da tutti, anche da Civati prima di ricusarlo con una scelta unilaterale che però non metteva in discussione il progetto collettivo, tanto è vero che le porte del medesimo restavano aperte. Il dibattito condotto sul manifesto («C’è vita a sinistra») aveva articolato e approfondito la discussione.

Ma non si è riusciti a superare una doppia evidente contraddizione. Quella di chi pretende che non si formi un partito, ma nello stesso tempo non vuole sciogliere il proprio, come è evidente nella intervista a Ferrero su questo giornale (ieri, ndr). Quella di chi dice di volersi sciogliere, come Sel, ma vuole uniformare da subito i modelli di organizzazione di tutti, anticipando la costruzione di un gruppo parlamentare che secondo alcuni dovrebbe già essere immagine e sostanza del nuovo partito.

Sono stati avanzati tentativi di mediazione fra queste posizioni, come da ultimo quello di Act, ma senza successo. Il tentativo di abbellire questa modesta polemica facendo riferimento alla modellistica europea o latinoamericana con cui si sono organizzate le forze della sinistra, lascia il tempo che trova, sia perché quelle forme organizzative hanno origini in tradizioni, culture e processi storici assai diversi, sia perché in esse hanno agito singolarità irripetibili di donne e uomini. Ogni processo reale non può che essere originale e per darvi vita ci vuole una buona dose di coraggio intellettuale e politico che finora è mancata. Non ci si è voluto tagliare i ponti alle spalle, anzi si è pensato di fortificarli, dando più l’impressione di preparare vie di fuga che non di camminare verso una meta condivisa.

Se la necessità di un nuovo soggetto politico della sinistra non viene messa in discussione, almeno a parole, è però chiaro che la strada per perseguirlo va cambiata. Dal fallimento del tavolo nessuno può trarre la conclusione di andare avanti da solo e parlare in nome di quel progetto. Non andrebbe lontano e originerebbe nuove fratture. Un’eterogenesi dei fini. Se la crisi della rappresentanza politica è così forte da coinvolgerci direttamente, vedo solo due possibilità.

Da un lato si tratta di impegnarsi attorno alle questioni teoriche e politiche che presiedono la formazione di un nuovo soggetto. Come l’analisi del moderno capitalismo finanziario globale e i progetti portanti di una società di alternativa. Qui incontriamo la questione del Pd e della socialdemocrazia europea. Non si tratta di negare la sempiterna necessità di una politica di alleanze, ma di spezzare la gabbia delle coalizioni. Quindi di fare i conti definitivi con il centrosinistra.

Il pasticcio delle primarie milanesi dice che questo nodo non è sciolto. La nostalgia dell’ulivismo è fuorviante. Fu in realtà la degenerazione del Pd a seppellirlo. Il Pd catch all senza il governo non è nulla. La distruzione e la neutralizzazione dei corpi intermedi della società – che coinvolge anche il sindacato, da qui le difficoltà anche della coalizione sociale – comincia da se stesso. Stabilire un’alleanza strategica con il Pd vuole dire diventare satelliti dell’attuale sistema di potere.

Dall’altro lato, dobbiamo rendere persone e movimenti protagonisti di liste alternative di sinistra nelle prossime amministrative. E soprattutto concentrarci nella battaglia referendaria, sul referendum costituzionale (che deciderà anche della vita dell’attuale governo) come sulla raccolta delle firme per i referendum sociali. Non è irrealistico pensare che nel corso di queste battaglie emerga nuova linfa vitale per fare ripartire su basi più larghe e più solide il processo per un nuovo soggetto della sinistra.

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