Sinistra, parlano le capolista
Sinistra Quattro donne considerate la carta vincente della lista sconfitta. Hanno preso molti voti. Vogliono, in modi diversi, che la storia continui. E chi ha creduto in loro ora deve ascoltarle
Sinistra Quattro donne considerate la carta vincente della lista sconfitta. Hanno preso molti voti. Vogliono, in modi diversi, che la storia continui. E chi ha creduto in loro ora deve ascoltarle
«Per prima cosa: non siamo ammutolite. Semmai siamo “state” ammutolite. Semplicemente dopo il voto, ma anche durante la campagna elettorale, per parlare della lista La Sinistra si è scelto di dare voce ad altri». Con ferma cortesia Eleonora Cirant, capolista nel Nord Ovest, 7.868 voti ricevuti, contesta i termini della prima questione che le viene posta: la vostra lista ha puntato (molto) su quattro donne capolista, ma dopo la sconfitta queste quattro donne sono sembrate ammutolire.
[do action=”citazione”]Seguiranno alcune altre domande: dare la ‘colpa’ ai compagni maschi che hanno ripreso in mano la conduzione delle danze, o ai meccanismi dei partiti, non è un alibi vittimistico?[/do]
Queste donne, arruolate con una forte «carica simbolica», come si era spiegato ad un incontro alla Casa delle donne di Roma, un dibattito fra Rossana Rossanda, Luciana Castellina e Ginevra Bompiani, oppure per più modesto calcolo elettorale, ora – domenica 9 giugno, alla riunione della lista a Roma – vorranno assumersi la direzione del progetto che hanno rappresentato alle europee?
«LA SETTIMANA SCORSA ho convocato un incontro con i consiglieri regionali delle forze che hanno aderito alla lista. Abbiamo parlato. Non è andata bene ma non è un’esperienza da buttare. I nostri temi sono giusti, restano i migliori. Ora però dobbiamo insistere sul confronto tra noi. Su questo c’è una lunga disabitudine. La domanda da farsi è: chi rappresentiamo?».
Silvia Prodi, capolista nel Nord est, 10.118 voti, nata a Reggio Emilia nel 1966, ingegnera nucleare, nipote radical della famiglia Prodi, è una combattiva consigliera regionale in Emilia. «Ora dobbiamo allargarci, assumere una modalità aperta, non precipitare subito verso un soggetto, avere un atteggiamento umile, ascoltare: se non abbiamo preso voti è perché non siamo considerati credibili».
La Sinistra, per lei, deve andare avanti. E chi lancia il ‘dialogo’ con il Pd – Nicola Fratoianni nell’intervista al manifesto – dello scorso 30 maggio «mi stupisce. Qui nessuno rappresenta se stesso, tutti rappresentiamo la nostra comunità. In queste condizioni difficili tutti i passi vanno condivisi, e comunque i messaggi debbono essere coerenti. Che facciamo, dialoghiamo con il Pd che ha voluto le grandi navi a Venezia?». Niente dialogo, neanche in caso di voto immediato.
«La legge non consente accordi a metà. Il ciclo di queste liste si è chiuso, è un dato di realtà, proprio questo ci rende più liberi. Ma non di ricominciare come se nulla fosse successo. Io sto riunendo per esempio molte donne: immagino gruppi di lavoro trasversali per lavorare su messaggi coerenti, chiari, affidabili e condivisi».
TORNIAMO A CIRANT. Milanese, classe 1973, femminista di Nonunadimeno, giornalista, lavora per l’Unione donne italiane e scrive di salute delle donne e biopolitica. «La scelta di dare così tanta visibilità a Fratoianni non è stata decisa insieme. Sono state scelte insieme invece le quattro capoliste donne. E siamo andate bene, basta vedere i voti. Vorrà dire qualcosa?». «In campagna elettorale ho incontrato soprattutto militanti dei due partiti, Rifondazione e Sinistra italiana. Tutti mi dicevano: qualsiasi cosa succeda si va avanti. E se la risposta del voto non c’è stata è per le ragioni che ascoltavo nelle iniziative: disillusione verso un ceto politico, percezione di un progetto messo insieme dalla testa e non dalla base. L’idea del terzo spazio è giusta, ma fin qui non è stato un processo inclusivo».
E se il governo cadesse ora? «Non dobbiamo candidarci. Tornare subito in un orizzonte elettorale sarebbe una coazione a ripetere lo stesso errore. Dobbiamo costruire questo spazio a sinistra, in una forma organizzativa che permetta ai singoli di partecipare. Radicarci nelle periferie abbandonate dalla politica».
Obiezione: come altro, anche questa l’abbiamo già sentita. «Sì ma io davvero ci vivo in una periferia di Milano, guadagno 1200 euro al mese e il mio compagno 6 euro all’ora». Quanto al dialogo con il Pd: «Io sto dalla parte opposta al Pd. Dovremmo fare la sinistra del Pd? E non si può neanche pensare alle alleanze senza essere un soggetto. A livello locale è un altro discorso, alle politiche è escluso».
SULLA STESSA LUNGHEZZA d’onda è anche Marilena Grassadonia, capolista al centro, 10.754 voti, ingegnera, palermitana, classe 1970 già presidente dell’associazione Famiglie Arcobaleno: «Dico no a un’alleanza con il Pd. È possibile e giusto invece cercare un confronto su temi e contenuti, si può camminare insieme, tante volte l’abbiamo fatto anche sui diritti civili. Ma è importante che ci sia uno schieramento di sinistra. Non voglio autoproclamarmi, ma è un fatto che le persone si siano ritrovate di più nelle candidature indipendenti. Dobbiamo costruire una casa della sinistra. Altrimenti persone come me sarebbero senza casa. Che è poi, insieme al richiamo per il voto utile, la ragione per cui non ci hanno votato: la mancanza di fiducia, il sospetto che la prossima volta ci sarà l’ennesimo cartello elettorale».
SARANNO MILLIMETRI, Ma non è la stessa analisi di Eleonora Forenza, 24.442 voti, nata a Bari nel 1976, studiosa di Gramsci e di teorie femministe, europarlamentare uscente. Che tra le ragioni della sconfitta, tralasciando l’onda nera di tutta Europa, mette anche proprio l’enfasi sull’unità della sinistra: «Sembrava il contenuto principale della nostra lista, ma non è un valore in sé, non dà risposte alle classi che vogliamo rappresentare».
[do action=”citazione”]Ora, secondo Forenza, si deve andare avanti «nella costruzione di un progetto politico sociale che chiarisca che non siamo la sinistra del Pd ma siamo alternativi al Pd, oltreché ai 5 stelle e alle destre».[/do]
«Lo schema del centrosinistra è sbagliato, è sbagliato anche alternare all’idea di una sinistra sociale autonoma quella di una sinistra alleata del centrosinistra. E questa altalena ci ha fatto male». Sono le premesse per nuove divisioni? «Mi auguro che non si disperda quello che abbiamo messo insieme in queste settimane, ma ci siamo presentati alle europee con un progetto di costruzione del terzo spazio alternativo a chi ci governa in Italia ma anche a chi ha governato in Europa. Cambiare prospettiva e mantenere lo stesso nome non si può fare».
E se cadesse il governo resta la proposta che c’è, migliorata: «Un’alternativa a tutti i poli esistenti. Ma il tema è tornare nella società, prima che nel parlamento, e tornare a essere percepiti come socialmente utili. Non è detto che porti immediatamente a un risultato elettorale». Fin qui non lo ha portato, in effetti: «Siamo stati più europeisti del re, siamo stati percepiti come la sinistra Pd e siamo arrivati molto tardi».
«IO NON HO UNA TESSERA di partito», chiosa Cirant. «Da domenica cercherò di capire se in La Sinistra c’è spazio per le istanze femministe, non solo per le teorie ma anche per le nostre pratiche. Verificherò se si è trattato di una scelta vera o di facciata». Non sarà spettatrice, promette: «Mi impegno per aprire questo spazio. Ma so per esperienza che è difficile in contesti misti e con una pratica partitico-istituzionale».
«In campagna elettorale invece è stato facile: con le altre donne candidate è scattata subito un’affinità. Molte di noi partecipano a Nonunadimeno ma vivono come un limite il rifiutare, in sostanza, la rappresentanza. Con loro mi interessa costruire questo terzo spazio». E se dalla solita scissione della sinistra stavolta nascesse, se non un partito, una rete di donne politiche? «Pensiamoci. Sarebbe interessante».
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