Sindrome cinese al G20, Usa e Russia inseguono Pechino
Summit in Indonesia Con l’Asia sbilanciata verso il Cremlino, Lavrov tenta di far scoprire la Cina. Almeno sulle sanzioni. Alla finestra c’è Washington che vuole riavviare il dialogo sui dazi contro l’inflazione
Summit in Indonesia Con l’Asia sbilanciata verso il Cremlino, Lavrov tenta di far scoprire la Cina. Almeno sulle sanzioni. Alla finestra c’è Washington che vuole riavviare il dialogo sui dazi contro l’inflazione
Non c’è Volodymyr Zelensky, ma l’Ucraina non è mai stata così vicina a Bali. Il resort turistico dell’Indonesia, sede del summit dei ministri degli Esteri del G20, si è subito trasformato in un ring con Russia da una parte e occidente dall’altra.
Nessuna traccia di «recover together, recover stronger», il motto della presidenza indonesiana. Nabila Massrali, portavoce della Commissione europea, ha chiarito che «la brutale guerra di Putin esclude la possibilità che il G20 operi come se nulla fosse, in modalità business as usual».
AGGIUNGENDO: «Non permetteremo a Mosca di trasformare il G20 in una sua piattaforma di disinformazione». Eppure, Sergej Lavrov a Bali c’è. E al vertice di novembre, nonostante il no di Mario Draghi e Joe Biden, potrebbe esserci Vladimir Putin. Sarà lui a decidere «a ridosso dell’evento», dice il Cremlino.
Anche perché, sostiene Lavrov, la posizione russa «trova comprensione e sostegno da un numero sempre più crescente di Stati. In contrasto con la linea apertamente aggressiva dell’occidente».
Il riferimento è soprattutto all’Asia. Come Giacarta ha invitato Putin al G20, la Cambogia ha invitato Lavrov (nei giorni scorsi in Vietnam) al forum ASEAN di agosto. L’India ha aumentato esponenzialmente l’acquisto di petrolio russo dopo l’invasione approfittando del ribasso dei prezzi e ora ci prova anche il Laos.
Oltre al collega turco Cavusoglu, Lavrov ha già incontrato l’omologo di Pechino, Wang Yi. Nella nota di Mosca si legge che Russia e Cina hanno espresso la volontà di «ampliare la cooperazione strategica» per contrastare la «politica di contenimento» degli Usa, continuando «ad approfondire il coordinamento in politica estera».
Ribadita poi la critica delle misure economiche anti-Mosca: «Introdurre sanzioni unilaterali eludendo l’Onu è inaccettabile».
PER ORA È ESCLUSO un bilaterale tra Lavrov e Antony Blinken: i due non si parlano dal 1° febbraio. Il segretario di Stato americano incontrerà invece Wang nel colloquio più atteso del summit. L’agenda del ministro cinese, che nei giorni scorsi ha incontrato Ferdinand Marcos Jr promettendo una nuova «epoca d’oro» nei rapporti con le Filippine, è fittissima.
Bilaterali con Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Canada, Singapore, Arabia saudita e Australia. In molti casi paesi coi quali la Cina ha rapporti ai minimi termini, su tutti Canada e Australia.
I media cinesi non citano l’Italia, nonostante la presenza di Luigi Di Maio. Wang ha incontrato anche l’indiano S. Jaishankar, con il quale avrebbe parlato di un prossimo incontro tra Xi Jinping e Narendra Modi, per mettere fine alle tensioni iniziate due anni fa con gli scontri al confine.
GLI INCONTRI con Lavrov e Blinken arrivano per Wang in una congiuntura delicata, con Washington che prova a riavviare il dialogo sui dazi (coi media cinesi che esultano perché Biden ammette di «aver bisogno» di Pechino per stoppare l’inflazione) e Mosca che tenta di erodere l’ambiguità cinese.
Nei giorni scorsi, su un account Telegram gestito da un ex luogotenente russo, sono circolate voci sulla presunta delusione di Putin verso Xi per il mancato sostegno ad aggirare le sanzioni, al di là delle importazioni di petrolio che sono in aumento anche a giugno. Xi si sarebbe rifiutato di incontrare Putin in Russia. D’altronde, non esce dalla Cina continentale da inizio 2020, a parte la recente visita a Hong Kong, e tra pochi mesi c’è il XX Congresso.
Ricostruzioni smentite da Pechino, che avrebbe però osservato con imbarazzo il recente passaggio di tre navi militari russe al largo di Taiwan, dopo una manovra congiunta nei pressi di territori giapponesi. È un inedito. «I russi hanno esagerato», ha detto al South China Morning Post Zhou Chenming dell’Istituto di Scienza e Tecnologia Militare Yuan Wang.
«LA CINA NON VUOLE che gli americani si avvicinino, né vuole che lo facciano i russi». Avvicinandosi al dossier più delicato per Pechino, Mosca sembra voler far rompere gli indugi all’amico «senza limiti» e forgiare una vera alleanza. La Cina, intanto, parla anche con gli Usa.
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