Internazionale

«Siamo inarrestabili». I giovani si prendono l’Onu

«Siamo inarrestabili». I giovani si prendono l’OnuGreta Thunberg ieri al summit sul clima dell’Onu – Ansa

Climate change Summit degli ambientalisti al Palazzo di Vetro. Il presidente Usa e il collega negazionista brasiliano Bolsonaro convitati di pietra. Greta Thunberg e attivisti da Kenya, Fiji e Argentina: i paesi «fuoriusciti» rientrino nell’Accordo di Parigi

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 22 settembre 2019

Il giorno seguente lo sciopero climatico che ha portato milioni di persone a manifestare per le strade di tutto il mondo, i giovani leader del movimento per l’ambiente si sono riuniti alle Nazioni unite per chiedere azioni radicali per combattere i cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale.

L’attivista svedese Greta Thunberg, che solo un anno fa aveva iniziato a manifestare per il clima con la sua protesta solitaria davanti al parlamento del suo Paese, ha ripetuto al segretario generale Onu, Antonio Guterres, che «i giovani sono uniti e sono inarrestabili».

«IERI MILIONI DI PERSONE in tutto il mondo hanno marciato e chiesto azioni concrete sul clima, in particolare i giovani», ha detto Thunberg insieme a centinaia di ragazzi provenienti da nazioni di tutto il pianeta.

L’intervento di Thunberg è stato breve, ha lasciato che i giovani attivisti climatici di Kenya, Fiji e Argentina prendessero il microfono durante una sessione di ascolto mattutina. La sessione dei giovani anticipa di un paio di giorni l’arrivo degli adulti che affluiranno alle Nazioni unite domani, per il vertice dell’Assemblea generale sui cambiamenti climatici, dove Thunberg sarà presente.

Komal Karishma Kumar, la giovane attivista climatica delle Fiji, ha invitato i leader mondiali «a non dubitare della scienza» e ha chiesto ad alcuni di «tornare all’accordo di Parigi”, che invita i Paesi a ridurre le emissioni inquinanti del 40% entro il 2030 (o almeno di provare a farlo). Inutile ricordare che nel 2017 Donald Trump ha ritirato gli Stati uniti dall’accordo. «Ricordate, vi riterremo responsabili – ha detto Kumar – E se non lo sarete, ricordate, ci mobiliteremo per votarvi fuori dal potere».

Il segretario generale Guterres, che ha detto di essere lì come semplice «ascoltatore di note chiave», alla fine della sessione ha detto agli oratori: «Vi incoraggio a rendere responsabile la mia generazione. Credo che ciò che i giovani stiano facendo oggi, ciò che i movimenti di base stanno costruendo, sia assolutamente essenziale affinché le cose accadano. Vi incoraggio ad andare avanti».

I DUE CONVITATI DI PIETRA di questo summit dei giovani sul clima, sono stati il presidente Usa e il presidente brasiliano Bolsonaro, che si distinguono come agenti sabotatori del pianeta tramite le loro manovre con profonde radici nel negazionismo climatico. Proprio poche ore prima dell’inizio del summit, The Intercept aveva pubblicato le rivelazioni sui piani di Bolsonaro per l’Amazzonia, in un articolo del giornalista Glenn Greenwald che da anni vive in Brasile.

Trump, invece, aveva celebrato lo sciopero climatico ordinando all’Epa, l’agenzia federale ambientale, di revocare i poteri grazie ai quali la California può decidere autonomamente di applicare vincoli più severi per le emissioni inquinanti delle automobili.

«L’amministrazione Trump revoca l’esenzione federale della California sulle emissioni – aveva scritto su Twitter – per produrre auto meno care per i consumatori e migliorare sensibilmente la sicurezza dei veicoli».

La super ambientalista California, affiancata da altri 23 Stati, ha reagito ricorrendo alle vie legali: i 24 procuratori generali, guidati dal californiano Xavier Becerra, hanno presentato una causa contro l’agenzia federale dei trasporti (Nhtsa, National Highway Traffic Safety Administration), contestando il provvedimento.

LA CAUSA, CHE VEDE in campo anche le città di Los Angeles e New York, vuole mantenere l’autonomia locale a stabilire il livello di emissioni per automobili e veicoli commerciali leggeri, imponendo limiti molto più stringenti rispetto a quanto stabilito a livello federale.

Tale prerogativa si deve al Clean Air Act del 1970, con cui l’amministrazione Nixon volle riconoscere gli sforzi di Sacramento per combattere i preoccupanti ed elevati livelli di inquinamento dell’epoca.

Da allora, l’esempio della California è stato seguito da sempre più Stati, gli stessi che nel 2017 hanno deciso di non seguire le decisioni del neo eletto Trump e di restare nel trattato di Parigi sull’ambiente.

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