I misfatti di Trump piombano sulle elezioni che prefigurano un nuovo confronto con Biden, potenzialmente conferendogli un’instabilità se possibile ancora maggiore di 4 anni fa. Donald Trump è da ieri formalmente accusato di aver tentato di sovvertire le elezioni democratiche del 2020. L’ex (e potenzialmente prossimo) presidente degli Stati Uniti è in sostanza accusato di tentato colpo di stato. Da un lato la formulazione giuridica di quello che nell’autunno del 2020 accadde sotto gli occhi di tutti, promette di fare chiarezza conclusiva su fantasmi che agitano il paese da anni. Dall’altro difficilmente potranno risolvere un dilemma squisitamente politico.

La redazione consiglia:
Trump incriminato per l’assalto al Congresso del gennaio 2021

Trump non ha mai rinnegato le affermazioni che due anni fa provocarono l’assalto a Capitol Hill, che ribadisce anzi quotidianamente. Il suo esercito di avvocati sostiene che le esternazioni dei politici godono di congenita protezione costituzionale: fossero pure menzogne, sono gli elettori e doverlo determinare non i tribunali. Furono commessi crimini contro il popolo americano, è invece la tesi dell’accusa, nella misura in cui le sue azioni furono tese a deprivarlo di una scelta democraticamente espressa, un fondamento, come lo ha definito il procuratore federale Jack Smith, del sistema democratico del paese. Quelli annunciati ieri da Smith, sono i terzi capi d’accusa ufficializzati a carico di Trump negli ultimi tre mesi, accuse che in circostanze normali risulterebbero fatali alla carriera di un politico. Le ultime incriminazioni configurano i reati più gravi mai contesati ad un ex presidente, nonché attuale candidato a tornare in carica. I più gravi da quelli di alto tradimento contestati, dopo la guerra civile, a Jefferson Davis, presidente degli Stati Confederati.

La redazione consiglia:
Quel giorno andò in scena un golpe. E il golpista-capo è ancora là

Vero, il tentativo di sovvertire l’esito delle elezioni vinte da Biden con una campagna stampa, dozzine di ricorsi, false accuse, pressioni su pubblici ufficiali e uomini politici (compreso lo stesso vicepresidente) e infine l’assalto a Capitol Hill, è già stato contestato nell’impeachment del 2021. Quello fu però un processo politico necessitante una maggioranza qualificata facilmente negata dai senatori GOP. I procedimenti penali formalizzati in questi giorni esprimono invece tutto il peso di un sistema giudiziario assai più metodico oltreché notoriamente non propenso alla clemenza o alla leggerezza.

Detto questo, la concomitanza delle imputazioni con la campagna politica che sta per entrare nel vivo e di cui Trump è probabile predestinato alla nomination repubblicana, rende oltremodo imprevedibili le prossime fasi. Intanto, durante i tempi giuridici necessari a formalizzare le accuse, si è andata calcificando nella base MAGA la narrazione della ”caccia alle streghe” da subito invocata da Trump (anche nella variante “perseguitano me per colpire voi”).

Il teorema per cui lo stato profondo istruisce falsi processi in misura proporzionale al timore che nutre per l’unico giustiziere in grado di resistergli, ha così acquisito la valenza inscalfibile di una profezia, confermata da ogni nuova accusa. Nel sottosopra trumpiano ogni avviso di garanzia è automaticamente tramutato in medaglia alla resistenza ai globalisti, al punto da essere diventato requisito certificato di autenticità che consolida la reputazione di irriducibile condottiero. Ha scritto Sydney Blumenthal sul fallito tentativo di Ron DeSantis di rilevare da Trump il titolo di maschio alfa nella galassia MAGA: “Senza nemmeno un rinvio a giudizio, non ha mai avuto un chance…”

La realtà è che Trump difficilmente punterà a difendersi davanti a quattro giurie. L’evidente scorciatoia per lui è farsi eleggere, facendo decadere i procedimenti o addirittura concedendo una grazia a se stesso. Se necessario potrebbe contare su una Corte Suprema di cui lui stesso ha designato la maggioranza ultraconservatrice. Assieme alla vendetta (“retribution”) che ha già promesso contro i nemici politici, un suo ritorno alla Casa Bianca prefigura un’amministrazione vieppiù asservita agli interessi personali di un presidente autocratico e compromesso.

È vero altresì che il candidato Trump le elezioni sarà ora costretto a vincerle se vorrà restare fuori di galera, e sarà quindi ancor più disposto a tutto per farlo. Per cominciare, è ben contento di continuare a giocare la carta del perseguitato politico denunciando il dipartimento di giustizia come filiale della campagna Biden, cooptando le prosecuzioni a tema centrale e quasi unico della sua campagna. È un terreno consono e familiare allo speculatore edilizio che da sempre considera i tribunali come strumento di affari e nella carriera ha accumulato oltre 4000 procedimenti civili, dispute contrattuali e bancarotte.

Ora però le sue vicende penali sono indissolubilmente commiste al destino politico del paese. I processi Trump cristallizzano le prossime elezioni come scelta fra extralegalità e democrazia. È infatti altamente improbabile che la pratica trumpista possa essere archiviata nei tribunali. In preda ad una dissonanza cognitiva, in bilico fra narrazioni diametralmente opposte ed incompatibili, dovranno invece essere proprio le presidenziali a risolvere la questione – -con tutte le incertezze del caso. Non saranno magistrati o giurati, in definitiva, gli arbitri di Trump e del trumpismo, ma gli elettori.