«En los tiempos de la violencia/Se lo llevaron los guerrilleros/Con Tirofijo cruzó senderos/Llegando al Pato y al Guayabero». Tra gli scalini di ingresso della cattedrale di Plaza Bolivar, nel centro storico di Bogotà, Silverio intona una canzone popolare dedicata a Barcino, toro di Tirofijo, fondatore delle Farc. Maestro e musicista, Silverio fa parte di un gruppo di attivisti di Cali, giunti da giorni a Bogotà per celebrare l’atto di insediamento del nuovo presidente colombiano Gustavo Petro.

SONO LE PRIME ORE della mattina di domenica 7 agosto. Mentre Plaza Bolivar si popola in attesa dell’evento, il consueto grigiore del cielo bogotano lascia spazio a un insperato e feroce sole equatoriale. Tre anelli di controllo lungo la Carrera Séptima regolano il flusso delle decine di migliaia di persone presenti. Al centro della piazza, la comunità nativa arhuaca sopraggiunta dalla Sierra Nevada realizza un rituale di purificazione dell’area con tabacco e foglie di coca. Intorno, contribuisce alla gestione dell’evento la Guardia Cimarrona, organizzazione di autotutela del territorio ispirata alla memoria di San Basilio, uno dei primi villaggi di africani liberi nell’America coloniale.

LE CLASSI POPOLARI della Colombia non si riversavano in piazza con tanta partecipazione dai tempi della firma della pace tra governo e Farc, nel 2016. Allora, l’entusiasmo fu troncato dalla vittoria del no al referendum, oltre che dalla mancata implementazione dei punti essenziali degli accordi. Oggi, le periferie urbane e rurali chiedono al nuovo governo di assumersi la responsabilità della pace totale: «Devono finire sessant’anni di guerra contro i popoli. Noi indigeni e afro siamo stati utili solo quando dovevano scattarci fotografie. Poi ci dimenticavano. Da oggi le cose possono cambiare», riflette una donna afrodiscendente di Tumaco, villaggio della costa pacifica martoriato dalla violenza paramilitare.

L’insediamento di Petro è anticipato dalla presentazione degli ospiti internazionali. Il calore con cui la piazza accoglie i presidenti di Cile, Bolivia e Argentina viene spezzato dai cori di contestazione che accompagnano l’ingresso del re di Spagna Felipe VI e del presidente ecuadoriano Guillermo Lasso, responsabile della violenta repressione delle manifestazioni di giugno 2022. Tra gli invitati d’onore, sono introdotte anche alcune persone appartenenti ai settori sociali meno abbienti del Paese: un pescatore, un contadino, una netturbina, un artigiano e una musicista.

L’apparizione sul palco di Petro e della vicepresidente Francia Márquez, afrocolombiana, viene scandita dal coro «¡Sí, se pudo!»: sì, si è potuto. Tra bandiere della Colombia e stendardi dell’M-19, la guerriglia di cui Petro ha fatto parte e che dopo la restituzione delle armi ha contribuito a redigere la costituzione plurietnica del 1991, il discorso del presidente viene anticipato dalla consegna della Spada di Simón Bolívar, emblema dell’indipendenza colombiana: un atto di enorme impatto simbolico, davanti al quale l’unico invitato a rimanere seduto è il re di Spagna. «Come disse il suo proprietario: la spada sarà rinfoderata solo quando in questo paese ci sarà giustizia», dichiara Petro.

IL SUO DISCORSO riassume i punti essenziali della sua campagna: transizione ecologica, sviluppo di economia popolare e politiche di crescita continentali, tutela dei diritti delle donne, apertura al dialogo con gli attori armati, ripensamento della lotta alla droga. Infine, un’attenzione speciale alle periferie del paese straziate dalla violenza del conflitto, a partire da una memorabile citazione letteraria: «’Le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra’, scriveva il nostro amato Gabriel García Márquez. Voglio dire a tutti i colombiani: oggi comincia la nostra seconda opportunità».