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Si può cancellare il passato? Attacco al doc su Ternera

Si può cancellare il passato? Attacco al doc su TerneraIl regista Jordi Évole nel film «No Me Llame Ternera», di spalle l’ex leader dell’Eta

Cinema Una lettera contro il film sull’ex leader dell’Eta al festival di San Sebastian. Hanno firmato più di 500 persone, il direttore: «Non assolve l’organizzazione»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 settembre 2023

La cancel culture sembra a volte sfuggire di mano, come se il punto fosse bandire qualsiasi contenuto spiacevole, lasciando parlare solo «i buoni». È quanto sta accadendo al festival di cinema di San Sebastian, dove il documentario No Me Llame Ternera, diretto da Jordi Évole e Màrius Sánchez e prodotto da Netflix (elemento che può già rendere l’idea di quanto sia sovversivo il film in questione…) sta scatenando una piccola bufera. Al centro del doc c’è infatti una lunga intervista a Josu «Ternera» Urrutikoetxea, ultimo leader dell’Eta, organizzazione di cui è stato figura di primo piano dal ’77 fino al 2018, quando ne annunciò lo scioglimento. Dopo 17 anni in clandestinità, Ternera è stato arrestato in Francia nel 2019, uscito poi dal carcere per le sue condizioni di salute, vi ha fatto presto ritorno per una nuova richiesta di estradizione da parte della Spagna. Richiesta accettata dalla Corte d’appello di Parigi nel 2021, si attende ora un nuovo processo per il militante 72enne. Tra gli attacchi che gli vengono attribuiti, i più gravi sono quelli di Plaza República Dominicana, a Madrid nel 1986 (12 morti) e quello di Saragozza nel 1987 (11 morti).

La proiezione di No Me Llame Ternera è prevista per il prossimo 22 settembre, ma una lettera pubblicata nei giorni scorsi su «El Diario Vasco» ne chiede la cancellazione. Sono stati più di 500 a firmarla, tra professori, giornalisti, politici e vittime del terrorismo. Nel testo si legge che il festival di San Sebastian «è molto più di una grande vetrina per l’industria cinematografica. Costituisce una vera e influente scuola di ciò che ha valore o meno nella cinematografia attuale, vale a dire nella cultura più popolare, promuovendo persone, idee e modi di vedere e di vivere. Questo documentario fa parte del processo di insabbiamento dell’Eta e della tragica storia terroristica del nostro Paese, convertita in una storia giustificatrice e banalizzante che mette sullo stesso piano assassini e complici, vittime e resistenti».

NON SI È FATTA attendere la risposta del direttore del festival, José Luis Rebordinos, che ha difeso la scelta di mostrare il film in un’intervista concessa a «El Pais». «In numerose occasioni pubbliche ho già detto, e lo ripeto, che l’Eta è una banda fascista e omicida. Ovviamente, se pensassi che il film cancelli le responsabilità dell’Eta, non lo mostrerei. Il film inizia con la voce di una vittima e finisce con quella di una vittima. No Me Llame Ternera bisogna prima vederlo e poi criticarlo, e non il contrario. In questo senso, saremmo disposti a organizzare per i firmatari della lettera una proiezione privata prima di quella ufficiale». Il direttore ha anche ricordato come il festival abbia spesso proiettato film sull’Olocausto che costituiscono spesso proprio un atto di accusa, se non di riflessione, sulla violenza compiuta. E anche come aver mostrato un film che contiene la voce di Pinochet (Pinochet y sus tres generals di José María Berzosa, 2004) non significa certo alimentare il culto del dittatore.

FORSE IL NODO di questa vicenda sta nel tipo di fruizione delle immagini che sempre più si sta diffondendo: il contenuto prima di tutto, mentre il punto di vista di chi è dietro alla camera sembra diventare opaco e accessorio. Neanche noi abbiamo visto No Me Llame Ternera ma dubitiamo contenga una santificazione del gruppo separatista, crediamo si tratti piuttosto di un documento di interesse storico, per quanto sia comprensibile il dolore delle vittime nel vedere il carnefice sul grande schermo, non trattandosi peraltro di una vicenda remota nel tempo.
Allargando il campo, sembra sempre più che lo spettatore sia privo di difese e di senso critico di fronte a un’immagine, come se conoscere per poi prendere le distanze sia un’operazione troppo complessa. Siamo diventati così fragili?

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