Il presidente della regione separatista filo-armena del Nagorno-Karabakh si è dimesso. Arayik Haratyunyan si trovava a capo del territorio, formalmente parte dell’Azerbaigian e conosciuta in armeno come Repubblica dell’Artsakh, anche durante l’ultima guerra del 2020. Sostiene di aver rassegnato le dimissioni «in seguito alla diffusa carenza di cibo e carburante dovuta al blocco del territorio da parte dell’Azerbaigian che dura da quasi un anno». L’Artsakh si trova al centro di una gravissima crisi umanitaria a causa della chiusura, da parte delle forze azere, dell’unica via che lo collegava con l’Armenia, il cosiddetto «corridoio di Lachin». Dalla fine della guerra del 2020, che ha posto fine a 30 anni di autonomia di fatto della regione, le forze azere stanno stringendo sempre più la morsa sulla piccola enclave separatista e ora, da più parti, si paventa il rischio di «genocidio».

Gli incidenti sono all’ordine del giorno e anche venerdì le agenzie locali hanno dato notizia di quattro morti a causa di scontri alla frontiera azero/armena. A causa del blocco, 120mila persone rischiano la fame. L’ex presidente, Haratyunyan ha dichiarato che le dimissioni sono un gesto per tentare di far riprendere i negoziati con l’Azerbaigian e che «le difficoltà nel Paese hanno ridotto significativamente la fiducia nelle autorità». Ieri era il giorno in cui gli armeni del Nagorno-Karabakh celebrano l’indipendenza ottenuta nella guerra del ’93 e una grande folla si è riunita di fronte al parlamento nell’attesa delle decisioni dell’assemblea e per chiedere la rimozione del blocco.
Ora ci si attende che il governo armeno prenda parola sull’accaduto e il rischio che la crisi riesploda in una guerra su larga scala sembra aumentare ogni giorno di più.