Internazionale

Si aprono i Giochi di Rio, la piazza contro Temer

Si aprono i Giochi di Rio, la piazza contro TemerLa protesta di ieri a Copacabana

Brasile I movimenti denunciano lo stato di polizia

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 6 agosto 2016

«Fora Temer». La consegna è stata gridata ieri nelle strade del Brasile e nella cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici di Rio, inaugurati dal presidente a interim. Numerose organizzazioni popolari hanno manifestato contro quella che considerano «una calamità olimpica»: una vetrina internazionale per un governo illegittimo, frutto di un golpe istituzionale. «Fora Temer». Fuori Michel Temer. Fuori il suo governo neoliberista: 23 ministri – tutti uomini bianchi, ricchi e corrotti – in un paese di meticci e afrodiscendenti. Dal 12 maggio, quando la presidente Dilma Rousseff è stata sospesa dall’incarico – sinistra e movimenti hanno moltiplicato presidi, marce e mobilitazioni.

Ieri, il Fronte Brasile popolare, quello Senza paura e il Fronte della sinistra hanno organizzato una «Caminhada de luta» a Copacabana, nella zona sud di Rio de Janeiro. Una camminata per denunciare l’aumento della repressione nei confronti dei movimenti popolari a seguito della recente «legge antiterrorismo»: sufficientemente ambigua da lasciare ampio margine di manovra alla polizia e da tagliar fuori dalla categoria di terrorismo i gruppi paramilitari di estrema destra. Per i Giochi sono stati schierati 85.000 militari e polizia, «addestratori» Usa e intelligence di altri paesi. Si susseguono le retate nelle favelas e gli arresti preventivi, e aumentano le denunce nei confronti delle forze dell’ordine di Rio, da tempo accusate di esecuzioni extragiudiziarie e di violazioni ai diritti umani. «Siamo in uno stato d’eccezione», denunciano i manifestanti.

Anche durante il mondiale di calcio vi furono arresti preventivi di attivisti, ma poi vennero scarcerati. Con la nuova legge antiterrorista, invece, oggi potrebbero essere processati e condannati a pene di 15-20 anni. I movimenti denunciano anche l’impiego massiccio della vigilanza di massa, la cui estensione, uso politico-economico e pervasività è stata evidenziata dalle rivelazioni di Edward Snowden, la fonte del Datagate. Allora, venne fuori che non solo il telefono privato della presidente Rousseff era sotto controllo, ma anche i vertici dell’impresa petrolifera di stato Petrobras, le transazioni commerciali e i contatti, erano monitorati. Nel 2014, scoppiò lo scandalo sulle tangenti ai politici che ha coinvolto la Petrobras nella mega-inchiesta Lava Jato.

La «mani pulite» brasiliana ha certamente portato in luce l’entità del sistema di corruzione esistente, che coinvolge tutti i partiti. Al contempo, però, ha consentito un uso delle inchieste a fini politici. I grandi media privati hanno messo alla gogna soprattutto il governativo Partito dei lavoratori (Pt), agevolando il lavoro delle destre, decise a scalzarlo. L’attacco a Petrobras e al Pt – ha denunciato la sinistra- serviva anche a preparare il terreno alle privatizzazioni, e a togliere alla petrolifera di stato il monopolio nella gigantesca zona estrattiva del presal. Due obiettivi che Temer e i circoli internazionali che lo sostengono stanno concretizzando.

Sul piano economico, Temer sta svendendo il patrimonio pubblico e le risorse, e ha già ceduto importanti pacchetti azionari di Petrobras alle multinazionali. Inoltre, promette di svendere alle imprese straniere anche le terre e ha già annunciato che la prossima mossa sarà quella di attaccare la legge del lavoro e quella delle pensioni. Il Datagate provocò l’annullamento del viaggio di Rousseff negli Stati uniti e un posizionamento più deciso della presidente nel campo delle relazioni solidali sud-sud. Un modello che il «format» conservatore tornato in forze in America latina e a cui si rifà Temer vuole cancellare. E ora il nemico da abbattere è il Venezuela di Nicolas Maduro, a cui Brasile, Argentina e Paraguay non vogliono riconoscere la presidenza pro-tempore del blocco regionale, come invece prevede la normativa.

Per far questo, Temer deve restare in sella fino al 2018 e finire il mandato al posto della presidente eletta. Tutto indica che potrebbe riuscirci. Il processo d’impeachment contro Dilma è giunto alle battute finali e il voto della Commissione speciale nei suoi confronti è stato nuovamente sfavorevole. Nel fascicolo non è stata inclusa la registrazione in cui Temer e soci spiegavano il piano per togliere di mezzo non una presidente corrotta, ma un pericolo per i loro magheggi di inquisiti nella Lava Jato.

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