Una scena del film

È da più parti acclamato come una delle sorprese del festival Only the River Flows, il film del regista pechinese classe 1991 Shujun Wei, presentato ad Un certain regard. Il detective Ma Zhe inizia ad indagare su un omicidio avvenuto in riva a un fiume, ben presto però le piste si confondono e la ricerca della verità diventa sempre più un viaggio dai toni allucinati, come se l’inconscio si fosse liberato dei suoi argini e avesse iniziato a debordare all’esterno, senza però annullare la realtà ma rendendo il suo statuto incerto, ambiguo. Già al terzo lungometraggio e dopo il corto On the Border (2018), vincitore della menzione speciale della giuria a Cannes, nonostante la giovane età Shujun Wei dimostra una grande capacità di maneggiare strumenti e linguaggi del cinema. «Ancora non ho un piano sul tipo di film che voglio fare in futuro», ci dice quando lo incontriamo al festival. Scegliendo di girare in pellicola 16 mm la località Banpo, nella regione rurale nord-occidentale di Shaanxi, ci appare oscura e decadente, forse in procinto di una trasformazione, mentre nelle corrispondenze che si dipanano tra i personaggi, tra cui il detective e sua moglie, il fine sembra perdersi in favore di una sincronicità mai pienamente afferrabile.

Cosa ti ha spinto ad adattare il romanzo di Yu Hua, «Mistakes by the River»?

È stato il mio produttore a farmelo scoprire e dopo averlo letto ho trovato fosse una grande sfida adattarlo. Tra una pagina e l’altra nella mia mente sentivo la musica di Wagner e di Tristano e Isotta in particolare, da cui mi sono fatto guidare.

La vicenda si svolge all’inizio dei ’90, negli anni in cui sei nato. Come hai ricostruito le ambientazioni?

Tutto il mio gruppo di lavoro è molto giovane e non aveva esperienza diretta di quel periodo. Abbiamo dovuto studiare, guardare album fotografici e così via per immergerci nell’atmosfera. Girare in pellicola poi fa sembrare il film più legato a quell’epoca.

Nella locandina è riprodotto «L’urlo» di Munch, perché?

Il quadro è connesso al lato oscuro del film, ma lo abbiamo riprodotto con una tecnica tradizionale cinese, in rosso scavando nel legno. Questo per dire che il film può sembrare a prima vista solo un noir, ma contiene all’interno molti elementi.

La sala cinematografica all’interno del film ha un ruolo particolare, come l’hai concepito?

Ho scelto il cinema come luogo in cui far impiantare la stazione di polizia perché quando l’ispettore e i suoi colleghi iniziano a cercare il colpevole, è come se recitassero un copione. Mentre loro cercano la verità, noi guardiamo uno spettacolo.