Dopo 14 anni di ascesa stellare le dimissioni da direttrice operativa di Facebook di Sheryl Kara Sandberg hanno segnato la fine di un’era. Quella delle origini del capitalismo delle piattaforme digitali basate sulla pubblicità online. Una storia che è stata raccontata come la corsa all’oro. Miti a parte, Sandberg ha davvero aperto una nuova frontiera della produzione del plusvalore. Parliamo dell’economia dei «surplus comportamentali» che non soddisfa solo una domanda preesistente, ma crea prodotti predittivi finalizzati all’anticipazione di ciò che vogliamo o desideriamo. Oggi il meccanismo è imprescindibile. Un’azienda non può fare a meno di questa tecnologia. E così faranno i singoli per vivere.

SHERYL SANDBERG, a 52 anni, è considerata l’intelligenza strategica che ha contribuito a creare il sistema sul quale sono fondate potenze multimiliardarie globali come Meta (che oggi raccoglie Facebook, Instagram e Whatsapp e aspira a diventare un «Metaverso») oppure Google dove ha lavorato per sette anni fino al 2008 trasformando l’azienda di Mountain View da social network in un Leviatano algoritmico.

COME ICARO, Sandberg ha portato la Silicon Valley a sfidare i propri limiti e poi, dopo gli scandali di Cambridge Analytica nel 2016 che hanno cambiato radicalmente la traiettoria ascendente di Facebook, ha iniziato una lenta caduta che si è conclusa il primo giugno scorso. La ristrutturazione della multinazionale in un contenitore che assorbe investimenti colossali, ma che resta ancora indecifrabile, è diventata un’opportunità per lei di andarsene con discrezione, pur restando nel consiglio di amministrazione. La decisione è giunta al termine di un periodo tumultuoso, compromesso dalla decisione di Apple di cambiare le norme sulla privacy e di colpire proprio il mercato del microtargeting online. Un colpo basso per Facebook. La decisione avrebbe potuto essere presa in un altro giorno qualsiasi degli ultimi sei anni, cioè da quando Facebook è diventato un’arma della disinformazione di massa condizionata dall’internazionale nazional-populista e cospirazionista. E’ da allora che Sandberg ha fatto girare le voci sulle sue dimissioni.

L’EX MANAGER ha scritto che aprirà «un nuovo capitolo del libro» della sua vita, colpita dalla dolorosa perdita del primo marito Dave Goldberg nel 2015 al quale ha dedicato un libro («Option B») per elaborare il lutto. Fino a oggi questa vita può essere divisa in tre parti. La prima è quella che l’ha portata nel 2001 a Google dopo cinque anni di lavoro prima a Harvard, e poi a Washington, con l’ex segretario al tesoro di Clinton, Lawrence Summers. «Tra gli studenti di Harvard ci sono un sacco di “presidenti nel cassetto – ha raccontato Summers a Sheera Frenkel e Cecilia Kang in Facebook: l’inchiesta finale (Einaudi) – Sono dei palloni gonfiati. Sheryl, al contrario, non si considerava una persona particolarmente importante».

LO È DIVENTATA, ecco la seconda parte della sua vita, quando da vicepresidente globale delle vendite e delle operazioni online di Google, ha trasformato Adwords, un software che permette di inserire spazi pubblicitari nelle pagine di ricerca, in una macchina da profitti colossali. «È stata Sheryl a crearlo» ha detto un investitore a Ken Auletta in Effetto Google (Garzanti).

CON MARK ZUCKERBERG si incontrarono a una festa di natale nel dicembre 2007 organizzata da un ex manager di Yahoo, Dan Rosensweig. Sandberg fu colpita da quel ventitreenne goffo che non aveva terminato gli studi, aveva rifiutato un miliardo di dollari da Yahoo e voleva raggiungere 50 milioni di utenti americani. Quegli utenti di Facebook sarebbero diventati tre lustri dopo più di due miliardi in tutto il mondo. Sandberg era ambiziosa e firmò per la società di Menlo Park. Ma il vero affare lo fece Zuckerberg che ottenne da lei la spinta per volare più in alto.

NELLA RICERCA della nuovo frontiera dello sfruttamento, così l’ha definita Shoshana Zuboff ne Il capitalismo della sorveglianza (Luiss) – Sandberg ha scoperto la cosiddetta «legge dell’imbuto». Google si concentrava nella parte stretta dell’imbuto. Gli interessavano le parole chiave digitate nella barra di ricerca per creare annunci pubblicitari mirati. Facebook, invece, ha creato un altro sistema nella parte alta dell’imbuto. È qui che gli utenti entusiasti e inconsapevoli riversano desideri e energie diventando imprenditori di se stessi. Il loro coinvolgimento in un unico luogo, e la possibilità data agli inserzionisti pubblicitari di non dipendono dai cookie, ha dato a Facebook l’immane potenza di ottenere informazioni sulle attività di tutti contemporaneamente. Così facendo Facebook ha trasformato gli utenti delle sue piattaforme in testimonial del suo marchio. La dinamica, per chi la sa riconoscere, oggi è esplosiva su Instagram. Questa è un’altra creatura di Sandberg, o un altro inferno. La storia può essere sempre vista da diverse prospettive.

SANDBERG ha raccontato la sua storia nei termini di un’autodeterminazione in un altro libro autobiografico tradotto in italiano con il titolo programmatico Facciamoci avanti. E’ incontestabile che sia la manager più potente, e capace, della Silicon Valley. In maniera non sorprendente per la cultura neoliberale ha trasformato il suo successo in un apologo morale rivolto a tutte le donne. Nel 2011, alla consegna dei diplomi del Barnard College, in un discorso che ha dato lo spunto al libro, rivolse un incitamento alle donne affinché perseguissero con tutte le loro forze le carriere desiderate. Lo scrive una donna che ha studiato nelle scuole pubbliche di Miami, figlia di professionisti che l’hanno immaginata destinata a una carriera di avvocato o di ricercatrice. La sua vita è stata trasfigurata con l’entrata a Harvard. Non tutto è possibile. Ma se c’è la volontà individuale, è meglio. Questo è il cuore di un’idea problematica di emancipazione.

MA COSA SUCCEDE invece a chi non ce la fa? Colpa sua? Si racconta che l’autrice rimase colpita dalla contestazione. Il suo libro sembrava che scaricasse il fallimento sulle spalle delle donne che, a causa dei pregiudizi sessisti e razzisti oltre che per la selezione di classe, non hanno realizzato un milionesimo delle cose realizzate da lei. «Sandberg è il pifferaio magico di PowerPoint con gli stivaletti bassi di Prada che rinnescherà la rivoluzione femminile – ha scritto l’editorialista del New York Times Maureen Dowd in un articolo strepitoso – La gente si avvicina ai movimenti sociali dal basso, non dall’alto. Sandberg ha cooptato il vocabolario e il romanticismo dei movimenti sociali per promuovere non una causa, bensí sé stessa». Facciamoci avanti è stato un best-seller.

TUTTO È CAMBIATO, ecco la terza parte della vita di Sandberg, con lo scandalo Cambridge Analytica. La società raccolse i dati personali di 87 milioni di account Facebook senza il consenso e li ha usati per la propaganda politica a sostegno di Donald Trump. Una strategia usata anche da hacker russi. Cos’era diventata la macchina che nutre la fame di visibilità del soggetto neoliberale? Un’arma in mano alla propaganda di Putin, un’agenzia di spionaggio mentre gli intermediari acquisiscono dati e vendono profili? Doveva garantire la libertà di parola, Facebook ha finito per militarizzare il dibattito.

FU ALLORA che i rapporti con Zuckerberg si sono incrinati. Tra il 2016 e il 2018, anni devastanti per Facebook, Sandberg gestiva anche le pubbliche relazioni dell’azienda. Una posizione di una rara delicatezza in una democrazia dove il ruolo del lobbismo è fondamentale per governare la politica e indirizzarla. Con il reazionario Trump alla Casa Bianca non era d’aiuto la posizione di Sandberg vicina al clan Clinton e più volte candidata a una posizione di rilievo in un’amministrazione guidata da Hillary Clinton. Zuckerberg iniziò così ad accentrare le decisioni, moltiplicando le sue uscite da politico a tutto tondo, con risultati tuttavia incerti. L’azienda macinava utili, con un valore di mercato da un trilione di dollari, ma la reputazione andava a picco.

UN ALTRO PASSO nella crisi è stato fatto il 6 gennaio 2021, il giorno dell’assalto al Campidoglio Usa, istigato da un ex presidente degli Usa e realizzato dall’estrema destra. Per Facebook è stata una catastrofe, come per l’idea di «democrazia di mercato». Zuckerberg, come i dirimpettai di Twitter, decise l’espulsione di Trump dalla piattaforma. Un’azione accompagnata dalla propaganda diffusa dagli americani contro altri americani. E ha permesso di guadagnare somme ingenti agli inserzionisti che hanno monetizzato il consenso, e il dissenso, grazie agli algoritmi. In quel momento è finito il volo dell’Icaro della Silicon Valley.