Sta creando una certa apprensione a Washington l’intenzione del Niger di interrompere la cooperazione militare anche con gli Stati Uniti. Fallita la missione di alti funzionari guidati dall’inviata della Casa bianca per l’Africa Molly Phee, al Pentagono sperano che sia solo un modo per alzare la posta. Ma hanno già iniziato a guardarsi intorno, saggiando la disponibiltà di altri paesi ad ospitare truppe e attività statunitensi in Africa occidentale. Hanno i loro buoni motivi per farlo: lo stesso giorno in cui il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp) annunciava in tv la rottura con gli Usa, il viceministro della Difesa russo Junus-bek Yevkurov era alla porta con la stilografica pronta per firmare diversi contratti. Intesa stracciata, intesa siglata.

VA DA SÉ che Abdourahmane Tchiani, leader della giunta militare nigerina, è stato tra i primi a complimentarsi con Putin dopo il voto, augurandosi il meglio per la sua «nobile missione» e per i rapporti bilaterali «già ottimi» . Con il regime change che ha archiviato la presidenza Bazoum e condotto alla porta prima i francesi, poi l’Unione europea e infine gli Usa se verrà confermata la decisione, Niamey aveva già messo un piede nell’orbita russa. Con i vicini Mali e Burkina Faso, che i piedi ce li hanno messi entrambi e sono guidati da governi altrettanto militari e di transizione, dopo aver fatto fronte comune contro le sanzioni e la minaccia di intervento armato dei paesi Cedeao  – fomentata da nord ma progressivamente abortita – il Niger  conta di creare una forza congiunta in grado di eradicare la minaccia jihadista attiva in diverse regioni dei tre paesi, approfittare dell’aiuto offerto anche a tal proposito da Mosca e rivisitare radicalmente i rapporti con Usa ed Europa.

Con un’eccezione tutta italiana che sa di dispetto a Parigi e potenziale, futura coabitazione con i russi, militarmente parlando, neanche ci fosse Salvini agli Esteri e pure alla Difesa.

L’ex potenza coloniale francese che contava di ridislocare in Niger le sue truppe dopo la “cacciata” dal Mali, e che da qui ricavava una quota consistente del suo fabbisogno di uranio, si è vista ritirare l’accredito. Stop anche alla decennale missione dell’Unione europea Eucap Sahel Niger, che schierava 130 gendarmi di vari Paesi Ue. E stop al dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (Eumpm).

Ad abbagliare quindi è la luce verde confermata per la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin), autorizzata dal nostro parlamento nel 2018 con un’idea di tornaconto nazionale in termini di controllo dei flussi migratori, intelligence e lotta alle minacce terroristiche. È anche la chance di ritagliarsi un ruolo di prestigio nel fronte Ue-Usa aperto nella regione. Che ha come primo scopo l’addestramento delle forze militari e di polizia nigerine. In 10mila hanno già seguito il corso.

 

Il ministro degli Esteri Tafani con il generale Figliuolo (Ap)

IL GENERALE MULTITASKING Francesco Paolo Figliuolo, qui in veste di Comandante Operativo di Vertice Interforze (COVI), ha avuto da poco «proficui incontri» in Niger, fa sapere la Difesa. I corsi di formazione per i golpisti del futuro possono ripartire. E possono restare i 350 effettivi italiani, con 13 mezzi terrestri e team specializzati in grado di fronteggiare qualsiasi circostanza, operativi in un’area immensa che si estende anche a Mauritania, Benin e Nigeria. La base è adiacente all’aeroporto della capitale. Hai visto mai.

Il governo Meloni sosterrà che così l’Italia resta l’ultimo baluardo dell’Occidente di fronte all’espansionismo russo e cinese in un’area cruciale dell’Africa. Per gli Usa resta lo smacco di dover smobilitare il migliaio circa tra militari e personale civile presente nella base di Agadez, da dove partivano attacchi ormai condotti prevalentemente con i droni, per evitare episodi come quello in cui nell’ottobre 2017 persero la vita quattro marines e altrettanti militari nigerini impegnati in un blitz congiunto.

A nulla è servito un atteggiamento prudente dell’Amministrazione Usa dopo il golpe dello scorso 26 luglio, teso proprio a mettere in standby e salvaguardare la scommessa fatta sul Niger come centro nevralgico di Africom, il Comando degli Stati Uniti per l’Africa, che si occupa di “lotta al terrorismo”, sorveglianza e sporadici raid contro le milizie jihadiste attive nella regione. Oltre – anche qui – ad addestrare gli stessi militari che per tutta riconoscenza hanno rovesciato l’alleato di ferro di Washington. Non un grande investimento.