«Il cinema non può fermare le guerre. Eppure, sarò forse un romantico, ci credo ancora». Sono le parole a caldo di Kirill Serebrennikov a Cannes, dopo i titoli di coda della prima di Limonov – The Ballad. L’adattamento dal romanzo di Emmanuel Carrère, incentrato su una figura controversa come Limonov che, pure, ha incarnato molte delle contraddizioni della cultura russa, ha posto non poche sfide al regista. «Quando abbiamo iniziato a lavorare al film, nel 2020, non sapevamo che raccontare questa storia sarebbe stato così rilevante» afferma Serebrennikov. «Con Ben Whishaw abbiamo iniziato a lavorare alla figura dello scrittore punk controverso, poi è scoppiata la guerra in Ucraina. Per me è stato un evento molto doloroso, mi ha stravolto la vita, ho lasciato la Russia e anche il film ne è uscito trasformato». Le domande dei giornalisti incalzano ancora Serebrennikov sul tema della guerra. «Migliaia di persone stanno dicendo: vi prego, fermatevi. Ma purtroppo il potere non ascolta. Pensate che due drammaturghe, Evguénia Berkovitch e Svetlana Petriïtchouk – il regista mostra la loro foto – sono in prigione da più di due anni solo per aver messo in scena uno spettacolo sul terrorismo, che peraltro ha anche vinto il premio teatrale nazionale. Perché siamo così impotenti davanti al male?». Il regista è poi tornato sul personaggio di Limonov, e sugli aspetti più indigesti della sua attività politica. «In effetti, si sta realizzando ciò che lui avrebbe voluto vedere, il ritorno dell’Urss. Limonov era un anti tutto, un anti-eroe, conteneva tutto e il suo contrario all’interno della propria personalità, questo mi affascinava e lo rendeva interessante da ritrarre artisticamente».