Il cammino dell’Italia nel torneo di rugby più antico del mondo compie quest’anno un quarto di secolo. Venticinque anni di storia. Era il 5 febbraio del 2000 quando gli azzurri sbucarono dal sottopasso dello stadio Flaminio per affrontare la Scozia nel loro primo match nel Sei Nazioni.

Sugli spalti e in tribuna stampa i sentimenti prevalenti erano la curiosità e l’emozione. Di fronte c’era la squadra laureatasi campione l’anno prima. Vinse l’Italia con il punteggio di 34 a 20, esaltata dalla propria trance agonistica e trascinata dai calci di Diego Dominguez. La guida tecnica della squadra era stata affidata a Brad Johnstone, un ex pilone degli All Blacks, uomo saggio e per bene che fino all’anno prima aveva allenato la nazionale figiana.

La vittoria degli azzurri fu sorprendente e generò molte illusioni: seguirono 14 sconfitte e tutti dovettero prendere atto che le cose non erano così semplici, che lassù, ai vertici del rugby mondiale, l’aria era davvero sottile e ti faceva mancare il fiato.

Brad Johnstone durò tre stagioni, poi nel 2002 il suo contratto fu rescisso e la sua carriera di coach internazionale si concluse di fatto lì. Al suo posto arrivò John Kirwan, un altro neozelandese, ma le cose non cambiarono: esordio con botto al Flaminio contro il Galles, poi un’altra sfilza di sconfitte (interrotta da una vittoria contro la Scozia nel 2004) e nel 2005 anche l’avventura azzurra di John Kirwan si concluse prematuramente.

In questo quarto di secolo sulla panchina azzurra sono transitati otto allenatori: tre neozelandesi, due sudafricani, due francesi, un irlandese. Per 18 volte l’Italia si è classificata all’ultimo posto. In questo stesso periodo la nostra nazionale ha partecipato a sei edizioni della coppa del mondo senza mai riuscire a qualificarsi al secondo turno.

Qualche generazione di giocatori ha vestito la maglia della nazionale e alcuni di loro sono stati dei campioni assoluti, altri dei buoni rugbisti, di altri ancora la memoria ha perso traccia e di loro rimangono le statistiche d’archivio, semplici numeri.

Il Flaminio, da tredici anni abbandonato a se stesso, è nel frattempo divenuto un triste campo di erbacce e ogni tanto spunta un progetto per farne qualcosa. Adesso si gioca all’Olimpico, settantamila posti che si fa una gran fatica a riempire nonostante il generoso turismo rugbistico d’oltralpe e d’oltremanica.

LO SCORSO autunno la partecipazione alla Coppa del Mondo si è chiusa con due catastrofiche sconfitte contro la Nuova Zelanda (96-17) e la Francia (60-7) che hanno sancito la distanza, al momento siderale, tra il rugby italiano e quello delle grandi nazioni dei due emisferi.

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Questa venticinquesima edizione del Sei Nazioni rappresenta dunque per l’Italia l’ennesimo anno zero, una ripartenza dalle macerie, una presa d’atto della propria inadeguatezza rispetto a un rugby professionistico che progredisce sempre più velocemente.

A guidare la squadra c’è un nuovo commissario tecnico, Gonzalo Quesada. E’ argentino (una novità) e ha speso la sua carriera di giocatore prima (mediano di aperura) tra la madre patria e la Francia. Lo attende un periodo di fatica e di pazienza e con sano realismo ha già messo le mani avanti: “E’ l’inizio di un ciclo e forse non tutto funzionerà alla perfezione”. Dovrà lavorare su quelli che sono stati i punti deboli (la difesa, la difficoltà a conquistare palla), rafforzare ciò che funziona (la propensione a un gioco alla mano vista durante la gestione di Crowley) migliorare la fase di avanzamento, tutta roba che richiede tempo.

L’avventura di questa nuova Italia parte domani (Skysport 1, 15:15; diretta streaming su Now) allo stadio Olimpico contro l’Inghilterra, unica squadra con la Nuova Zelanda che l’Italia non è mai riuscita a sconfiggere pur andandoci vicino in un paio di occasioni. La più brutta nel gioco ma anche la migliore delle home nations all’ultimo mondiale, chiuso al terzo posto nonostante molti la pronosticassero fuori già nei gironi. Bruttina ma pratica, molto pratica, a volte dioabolica. Esperta: ce l’ha nel suo Dna. Pericolosa, sempre.

Perciò Quesada ha deciso di non mandare in campo un’Italia il più possibile affidabile: la coppia mediana sarà composta dai fratelli Garbisi, Paolo e Alessandro, e punta sul recupero di Menoncello nel ruolo di primo centro. Ange Capuozzo sarà schierato all’ala, con Tommaso Allan estremo. La prima linea, priva dell’infortunato Ferrari, si affida a Lucchesi, Fischetti e Ceccarelli.

Lo scorso autunno la partecipazione alla Coppa del Mondo si è chiusa con due catastrofiche sconfitte contro la Nuova Zelanda (96-17) e la Francia (60-7)

L’INGHILTERRA presenta molte novità tra cui due esordienti, il terza linea Ethan Roots e il centro Fraser Dingwall. Non ci sarà Owen Farrell, bersagliato dalle critiche sui social, che si è preso un periodo di sosta dalla nazionale “per dare priorità alla mia salute mentale”; e non ci sarà nemmeno il talentuoso Marcus Smith, infortunato. A prendere la maglia numero dieci sarà l’esperto George Ford, affiancato da Mitchell in cabina di regia.

Come spesso accade ai Sei Nazioni che seguono un’edizione della coppa del mondo, il torneo si presenta abbastanza aperto nei pronostici.

Francia e Irlanda, che hanno dominato la scena mondiale nelle ultime stagioni, sono uscite dalla rassegna iridata con le ossa rotte: prime nei loro gironi di ferro e lanciatissime verso le finali, si sono fatte sgambettare da Sudafrica e Nuova Zelanda e sono entrambe uscite di scena ai quarti. Il mondiale che doveva rovesciare le gerarchie tra il Sud e il Nord del mondo ovale, ha invece ribadito la supremazia dell’emisfero australe. Per i francesi, che ospitavano la rassegna, è stata la più cocente delle delusioni; per gli irlandesi, numeri uno del ranking mondiale, l’ennesima atroce beffa.

Francia e Irlanda (Skysport 1, 21:00) si ritrovano di fronte stasera a Marsiglia (lo Stade de France parigino è indisponibile causa lavori per i prossimi giochi olimpici), e il match è non soltanto un confronto tra le due grandi deluse ma anche un banco di prova per il futuro. Se la Francia dovesse uscire sconfitta si dirà che il ciclo cominciato sotto la guida tecnica di Fabien Galthié ha esaurito prematuramente la sua forza propulsiva; se perdesse l’Irlanda molti commenteranno che quella squadra, protagonista di diverse stagioni vincenti, campione in carica con tanto di grande slam, è ormai giunta alla fine del suo cammino.

Galles-Scozia, che conclude questa prima giornata del torneo, si gioca alle 17:45 di domani.

Italia: Allan; Capuozzo, Brex, Menoncello, Ioane; P. Garbisi, A. Garbisi; L. Cannone, Lamaro, Negri; Ruzza, N. Cannone; Ceccarelli, Lucchesi, Fischetti.

Inghilterra: Steward; Freeman, Slade, Dingwall, Daly; Ford, Mitchell; Earls, Underhill, Roots; Chessum, Itoje; Stuart, George, Marler.