E’ il Sei Nazioni dell’Irlanda, che giunge al traguardo stanca e un po’ sgonfia ma con sufficiente mestiere per portare a casa una vittoria di misura (17-13) ed è quanto le serviva per bissare il successo dello scorso anno. Ancora una volta il weekend di San Patrizio le porta bene. Ma è anche il Sei Nazioni dell’Italia, che sconfigge il Galles a Cardiff e chiude il suo torneo con il miglior bilancio di sempre: 2 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte. Al Millennium Stadium è finita 24 a 21, un piccolo scarto di punti che non dà però conto di un match che ha visto gli azzurri sempre in vantaggio e i gallesi sempre a rincorrere. Qualcosa è accaduto. E’ stata un’edizione molto combattuta e lo certifica la classifica finale. C’è una nazione vincitrice, non una dominatrice assoluta: niente grande slam, niente Triple Crown, soltanto l’erratica Scozia può tenersi stretta la sua quarta Calcutta Cup consecutiva. La Francia ha rimediato a un torneo fino a quel momento fallimentare con un penalty da metà campo all’ultimo minuto di Thomas Ramos che le ha permesso di sconfiggere gli inglesi e chiudere al secondo posto. Le Crunch non ha tradito le attese: sfida bella, palpitante, dai continui rovesciamenti di fronte e un punteggio che ha ballato per tutta la partita.

L’ITALIA, parliamone. Abbiamo una squadra? Pare di sì. Lasciamo per un momento da parte la classifica e il cucchiaio di legno finito in mani gallesi dopo gli otto consecutivi “conquistati” dagli azzurri. E’ vero, col vecchio punteggio (2-1-0 punti, nessun bonus) l’Italia avrebbe chiuso al quarto posto e non al quinto, ma da anni il torneo ha adottato il sistema dell’emisfero Sud e tutto conta, anche le mete di troppo incassate in qualche partita. Che cosa è cambiato, allora? Andiamo per punti. Primo, la continuità nel gioco: con la sola eccezione del match di Dublino, l’Italia ha giocato un buon rugby durante tutto il torneo, e questo per ventiquattro edizioni non era mai accaduto. A volte si partiva bene e si finiva malissimo, oppure si partiva male, a metà cammino arrivava una vittoria che illudeva e si concludeva con delle sonore batoste. Questa volta no. Secondo, la tenuta atletica. L’Italia era quella squadra che dopo primi tempi promettenti andava negli spogliatoi per poi rientrare in campo distratta e molliccia, e i finali di partita erano un incubo. In questo caso non è successo e i secondi tempi con Francia e Scozia hanno fatto vedere una squadra azzurra capace di combattere fino all’ultimo secondo. Terzo, la difesa, capitolo fondamentale.Il rugby è gioco di squadra è il collettivo conta più di tutto, dunque parlare di singoli suona malissimo. Però le individualità contano: se ne hai soltanto una o due è un problema, se non ne hai nessuna è un disastro (chiedere ai gallesi), se ne hai molte tutto va per il meglio perché ci sono alternative e c’è concorrenza

Con Kieran Crowley gli azzurri avevano trovato un gioco d’attacco bello ma spesso rischioso: nel 2022, primo Sei Nazioni con il neozelandese alla guida, l’Italia aveva segnato 5 mete e ne aveva subite 27; nel 2023 le mete fatte erano salite a 9, quelle subite erano scese a 22 ma la difesa era rimasta un punto debole poi certificato nel disastroso mondiale dello scorso autunno. Gonzalo Quesada, da buon argentino, ha puntato sul rafforzamento della difesa: va bene attaccare con il gioco alla mano ma non sempre e non da qualunque posizione del campo. Soprattutto, senza una buona difesa non si va da nessuna parte. Risultato: 9 mete segnate in questo Sei Nazioni, 16 subite, che sono ancora troppe ma che hanno fatto la differenza rispetto a un anno fa. Inoltre: Italia prima nella classifica dei turnover nei punti di incontro. Nota a margine: le due mete subite dai gallesi al 79’ e all’82’, seppure con la vittoria ormai in tasca, sono un piccolo crimine rugbistico.

ARGOMENTO proibito o quasi: i singoli. Il rugby è gioco di squadra è il collettivo conta più di tutto, dunque parlare di singoli suona malissimo. Però le individualità contano: se ne hai soltanto una o due è un problema, se non ne hai nessuna è un disastro (chiedere ai gallesi), se ne hai molte tutto va per il meglio perché ci sono alternative e c’è concorrenza. Per un anno, mentre aspettavamo l’esplosione delle giovani promesse, siamo rimasti appesi ai guizzi miracolosi di Ange Capuozzo, metaman diventato indispensabile. Poi sono cresciuti gli altri e con loro la qualità del nostro gioco. Tommaso Menoncello, 22 anni, che con Ignatio Brex ha formato la miglior coppia di centri di questo torneo. Paolo Garbisi, maturato a Monpellier e ora in forza al Tolone, finalmente un mediano di apertura capace di far bene tutto. Il capitano Michele Lamaro, miglior placcatore. Monty Ioane, il più efficace nel rompere i placcaggi e guadagnare metri. Federico Ruzza, che capeggia la classifica delle touches vinte. Giacomo Nicotera, una bella sorpresa. E poi le riserve: Lorenzo Pani, Ross Vintcent, fondamentali in molti momenti. Da ultimo la scoperta del figlio d’arte Lynagh.

Abbiamo visto una squadra giocare e pensare da grande squadra e questa è la novità. Può bastare? No, non basterà se non ci saranno altri miglioramenti, se il gioco tattico al piede non sarà fatto meglio e non regalerà palloni per i contrattacchi avversari, se la difesa non farà ulteriori progressi o se non vi sarà maggior capacità di sfruttare i momenti favorevoli. Il rischio di una ricaduta è sempre dietro l’angolo ma per la prima volta la creatura appare giovane e forte anziché gracile ed esposta alle intemperie. Un buon motivo per guardare avanti.