Anche alle vetrine del patriottico fast food Vkusno i Tochka, che da qualche tempo in Russia ha preso il posto di McDonald’s, hanno appeso un cartello per ricordare ai passanti delle elezioni. Il testo è scritto in stampatello e dice: “Insieme siamo più forti! Votiamo per la Russia!”. Occorre, insomma, stringersi attorno a Vladimir Putin e confermare alle urne il suo quinto mandato alla guida del paese.

La linea è chiara a tutti in questo angolo di Mosca nel distretto di Maryno, al bordo sudest della città, e lo stesso si può dire per il resto del paese.

Per evitare problemi, però, si è comunque deciso di escludere dalla corsa il candidato liberale Boris Nadezhdin, l’unico che aveva proposto la fine della guerra in Ucraina, il solo, così dicono, con qualche grama possibilità di raccogliere consensi. Quindi ora le operazioni procedono come se la Russia avesse a che fare con un censimento.

LA TV DI STATO mostra le immagini di cittadini al voto a San Petroburgo, in Crimea, nelle regioni ucraine che il Cremlino ha annesso un anno fa, nelle remote terre orientali al confine cinese. Alle 16 di ieri l’affluenza federale era già sopra il 50 per cento. Il 69 a Donetsk, il 36 a Lughansk, il 55 nella provincia occupata di Zaporizhzha e il 69 in quella di Kherson.

Fatta eccezione per il fronte, nelle prime due delle tre giornate elettorali i servizi di sicurezza hanno avuto dovuto gestire soltanto una decina di attacchi incendiari condotti quasi sempre da donne e terminati senza gravi conseguenze.

È un bilancio accettabile. In tema di proteste i timori delle autorità erano ben più gravi.

NEL DISTRETTO periferico di Maryno si vota dentro l’edificio di una scuola pubblica. Scuola numero 1.357, seggio 1.500. Due poliziotti con l’elmetto parlano al cancello e un altro rimane davanti alla porta.

Per la verità non c’è nessuno in fila per entrare: la giornata è buona, il sole è caldo, nel parco lì vicino le famiglie passeggiano e i senzatetto sbevacchiano serenamente.

Poco lontano dal seggio si trova la chiesetta in cui il primo marzo migliaia di russi sono arrivati per l’estremo saluto ad Alexsei Navalny, morto in circostanze ancora oscure in un carcere di massima sicurezza nella regione artica Yamalo-Nenets. Quello è stato l’ultimo raduno dell’opposizione. In un certo senso anche il raduno finale.

Il cimitero in cui Navalnij è stato sepolto, il cimitero Borisovskij, è sull’altra sponda della Moscova, a una decina di minuti d’auto. Anche lì hanno messo tre poliziotti di guardia, questa volta senza armi e senza elmetti, eppure è lunga la coda per lasciare fiori sulla tomba.

Una coppia sui vent’anni, lui tiene in mano il telefono, lei tre rose bianche. Una ragazza che comincia a piangere nel momento stesso in cui attraversa il cancello. Una donna ben vestita che si sporca il cappotto in una pozza mentre è chinata a sistemare un biglietto. Avrà un significato che questa gente arrivi qui, ancora oggi, per di più nel giorno delle elezioni.

Nadia Zakharova
Nadia Zakharova

«TUTTI NOI ai funerali avevamo paura”, dice Nadia Zakharova, l’autrice di un documentario sulle esequie di Navalny dal titolo “L’amore è più forte della paura” che ha girato con il network Nastoyashchee Vremya: «Io stessa prima di uscire di casa avevo messo nello zaino un po’ di vestiti e qualche libro nel caso in cui la polizia ci avesse portati via. Fortunatamente non è successo nulla, e nessuno di noi si spiega perché».

Questo genere di documentario ha una storia in Russia. Nel 1990 il regista Alexei Uchitel, oggi molto popolare ma allora semisconosciuto, ne realizzò uno sui funerali del cantante Viktor Tsoij. Negli anni della perestroijka Viktor Tsoij stava al rock come Mikhail Gorbachev stava alla politica. Un incidente stradale in pieno agosto suscitò in tutta l’Unione sovietica una ondata emotiva di rara intensità.

NATURALMENTE tra i due lavori ci sono grandi differenze. Sono i tempi a essere diversi. Nel documentario di Uchitel, “L’ultimo eroe“, si vedono migliaia di punk radunati nei cortili di San Pietroburgo a cantare le parole del loro idolo scomparso, quando ancora la città si chiamava Leningrado.

In quello di Zakharova cittadini dietro le transenne che lanciano fiori sulla strada, ragazzi che scivolano sul ghiaccio, donne che trattano con i poliziotti per entrare al cimitero.

Nadia Zakharova
Molti mi hanno detto che il mio film ha dato speranza, ma praticamente tutti quelli che conosco hanno lasciato la Russia e i pochi rimasti sono in carcere

«Molti mi hanno detto che il mio film ha dato loro speranza», dice sempre Zakharova, «ma a questo punto non sono sicura che la speranza sia abbastanza. Praticamente tutti quelli che conosco hanno lasciato la Russia. I pochi che sono rimasti si trovano in carcere. Ci sono linee rosse che non possiamo attraversare. Io stessa mi chiedo che cosa sia opportuno fare domani alle 12».

Alle 12, oggi, la vedova di Alexsei Navalny, Yulia Navalnaya, ha chiesto ai russi di andare in massa ai seggi. Un modo per mostrare al paese e al suo padrone che l’opposizione esiste ancora. Sarà il momento più delicato di queste elezioni.